Cambiano le facce ma i problemi restano

venerdì 12 luglio 2013


In tema di cambiamento politico, di cui un po’ tutti si riempiono la bocca, chi sta fuori dai palazzi del potere tende, in attesa di entrarci, a dare la responsabilità all'intera classe politica, auspicando una sua sostituzione in blocco. Così faceva la Lega Nord agli albori della sua crescita elettorale e così si propone il movimento fondato da Beppe Grillo. Persino i sedicenti liberali di “Fare per Fermare il Declino”, per bocca del suo leader Boldrin, dichiarano a ripetizione che occorre mandare a casa almeno il 90% dei politici attuali. E al fondo l’idea, a mio avviso totalmente illusoria e gravida di nefaste conseguenze, è sempre la stessa: ritenere che attraverso un radicale ricambio delle cosiddette facce si possano risolvere i problemi alla radice. Ciò come se si trattasse di una questione di uomini e di relative capacità e non, ahinoi, di sistema. Un sistema sempre più disfunzionale, basato su un eccesso di Stato, di spesa pubblica e di tassazione, che si è stratificato nel tempo e alla cui edificazione hanno contribuito un po’ tutti, dalla pancia alla testa del Paese.

Ma i parvenu della politica ritengono di avere buon gioco nel cercare di dimostrare che con una classe dirigente diversa, naturalmente reclutata tra le loro fila, le cose andrebbero diversamente. Essendo per definizione retti e capaci, i “nuovi” di qualunque orientamento riuscirebbero senz’altro ad ottenere la classica quadratura del cerchio, mantenendo inalterato l’attuale perimetro dello Stato, ma migliorandone addirittura i servizi offerti ai cittadini all’interno di una pressione fiscale ridotta drasticamente. In altri termini, i tanti sedicenti paladini del bene comune in servizio attivo permanente, probabilmente con qualche ragione, pensano di lucrare molti consensi in più continuando a perpetuare la favola dei pasti gratis.

Tuttavia, sebbene la demagogia a buon mercato risulti molto utile sul piano elettorale, evitando di spiegare al popolo come stanno effettivamente le cose, si contribuisce ad affossare ulteriormente il fondamentale senso della responsabilità individuale. In questo modo, cavalcando ogni aspettativa di intervento pubblico, si avvalora la cultura statalista e assistenzialista che ci ha portato sull’orlo del baratro. Almeno fino a quando il Paese reale non emulerà l’esperienza di altre nazioni, scendendo con le pentole in piazza per la disperazione. Ma a quel punto sarà probabilmente troppo tardi.


di Claudio Romiti