venerdì 5 luglio 2013
Lasciamole perdere per un momento le assicurazioni e le promesse di Barack Obama, che in qualche modo giustifica l’operato dei suoi servizi segreti, perché è compito di un servizio segreto è, appunto, quello di assumere segretamente informazioni e cercare di impedire che altri facciano quello che fa lui. D’accordo, così fan tutti, ma non tutti si fanno infinocchiare da un contractor di basso livello dell’intelligence come Edward Snowden; non tutti si fanno trovare con le dita nella marmellata per la delazione di uno Snowden qualunque; e questo dovrebbe far riflettere Obama (e non solo lui, beninteso) sui comparti di sicurezza dei servizi stessi. Perché se si può ritenere benefico che in questo caso uno Snowden abbia provocato tutto il finimondo di queste ore (più di superficie che reale, s’azzarda), questo non significa che altri tipi di “effetti” degli Snowden possano provocare. Obama promette che saranno forniti tutti i chiarimenti richiesti a gran voce dai paesi amici spiati; e li si può già immaginare, che chiarimenti saranno. Poi, se si vuole, si possono anche fare delle ironie sul “non è carino” detto da Emma Bonino, nei confronti degli “spioni” americani.
A parte che la Bonino, nell’intervista al Corriere della Sera ha detto cose molto ragionevoli, e volerla inchiodare a quel “non è carino”, è operazione che si qualifica da sola. Chissà cosa si pretende si vorrebbe fosse fatto, una riedizione de “Il ruggito del topo” di Jack Arnold? Chissà, come il Tullio Bescom interpretato da Peter Sellers, novello Ducato di Grand Fenwick, dovremmo dichiarare guerra agli Stati Uniti? No, meglio cercare di ricavare qualche succo, da questa vicenda. Ecco, torna alla mente una riflessione di Leonardo Sciascia di quasi trent’anni fa. In sostanza, Sciascia si chiedeva se i servizi segreti non era meglio abolirli. Ragionamento svolto sul filo del paradosso, ma animato da logica ferrea. La riflessione comincia con un aneddoto, non sappiamo se vero o solo verosimile. Nel corso di un vertice, il sovietico Nikita Kruscev ad un certo punto fa un discorso più o meno di questo tipo al presidente americano John F. Kennedy: “I tuoi agenti spiano l’Urss, i miei gli Stati Uniti. Spendiamo un sacco di soldi per sapere da loro quello che sappiamo già. Non sarebbe più logico abolirli?”.
Si può immaginare il sorriso dell’uno e dell’altro, che poi di altro si saranno occupatati; e i rispettivi “servizi” invece che essere aboliti saranno stati ulteriormente rafforzati. E qui la riflessione di Sciascia: servizi che costituivano, e probabilmente costituiscono ancora, un “impasto di cretineria e criminalità, nelle moderne tirannie e, per simpatie o contagio, anche nelle moderne democrazie, i servizi segreti hanno assunto un ruolo quasi avulso dagli Stati che li promuovono, dal potere che dà loro potere: hanno una loro politica, fanno le loro alleanze e le loro guerre. Si può anzi dire che la guerra è la loro cultura: e uso la parola anche nel senso degenerato in cui oggi la si usa, per cui si parla di cultura mafiosa, di cultura del sospetto, e così via; ma soprattutto la uso nel senso di cultura batterica da laboratorio scientifico. Appunto tra cretineria e criminalità, la cultura della guerra è la sola cui i servizi segreti appartengono.
Un discorso di pace, dunque, deve preliminarmente muovere dall’abolizione dei servizi: aveva ragione Kruscev”. Sciascia poi racconta una sua personale esperienza: “Ho conosciuto un uomo che stava al vertice dei nostri servizi segreti. Non gli avrei affidato nemmeno la custodia di un cane; ma i nostri governanti gli avevano affidato la sicurezza dell’intero Paese. Mi domando come è stato possibile. E ancora mi domando: se quell’uomo stava al vertice, cosa erano, cosa sono, coloro che stanno alla base della piramide? Né credo ci sia di meglio nei servizi di altri Paesi: l’attributo di intelligente, che accompagnò quello inglese, e forse l’accompagna ancora, è da considerare come mitico e romanzesco. Se i servizi internazionali tra loro dialogano e tra loro guerreggiano, vuol dire che tutti stanno allo stesso livello, che tutti conducono lo stesso gioco”. A saperla cogliere, “vedere”, questa nota, per le riflessioni e le intuizioni che racchiude, ha un suo valore anche per l’oggi. Ma Obama certamente non conosce e non ha mai letto Leonardo Sciascia; e, da quel che è dato vedere, non solo Obama, anche qui da noi, in Italia…
di Valter Vecellio