mercoledì 3 luglio 2013
La Corte d’Appello è “troppo spesso vittima e allo stesso tempo carnefice dell’irragionevole durata dei processi”. Lo spiega alla perfezione il Procuratore generale della Corte di Cassazione nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2009. Il secondo magistrato d’Italia ricorda che “il Ministero della giustizia ha pagato, fino al 2009, 150 milioni di euro di risarcimento per legge-Pinto, ha un debito ancora esistente, fino al 2008, di 86 milioni di euro e per il solo anno 2009 sono già stati contratti 31 milioni di debiti, per un totale ammontante a 267 milioni di euro”. La legge-Pinto, che fa onore alla Repubblica, prevede un’equa riparazione per i cittadini incappati in processi troppo lunghi.
Sulla domanda di risarcimento giudicano le corti d’appello. La lentezza ordinaria della giustizia ha prodotto un notevole incremento di domande. Con questa paradossale conseguenza: che i ricorsi non riguardano più soltanto il ritardo del processo originario, ma anche il ritardo del processo riparatorio, che genera a catena altri ricorsi per il ritardo del ritardo! Perciò il Procuratore generale invoca una riforma che riduca significativamente “quegli incresciosi fenomeni della cosiddetta “Pinto-bis”, ossia la richiesta del danno anche per il ritardo nella conclusione del procedimento-Pinto; ci sono ormai casi anche di Pinto-ter e di Pinto-quater”.
E conclude con un interrogativo che sorprende per la sua lapalissiana evidenza: “Perché continuare a sprecare tante risorse per risarcire i danni dell’arretrato, quando potrebbero essere destinate a smaltirlo?”. Già, perché? Forse perché, parafrasando Orazio, in Italia “omne desinit in piscem”. Pure le cose buone si pervertono.
di Pietro Di Muccio de Quattro