Italia condannata a Strasburgo

martedì 4 giugno 2013


La notizia è importante. Per questo è sostanzialmente ignorata? La notizia è questa: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definitivamente accolto il ricorso presentato da sette detenuti di Busto Arsizio e Piacenza contro il sovraffollamento carcerario. L’Italia è condannata per trattamento inumano e degradante: ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento e risarcire i detenuti che ne sono vittime. È una sentenza che costituisce precedente: praticamente tutti i detenuti delle carceri italiane possono presentare richieste di risarcimento alla corte di Strasburgo, e ottenere analoga soddisfazione.

Il precedente Governo Monti aveva presentato ricorso, tentativo evidente di guadagnare tempo e fermare le lancette dell’orologio. Ma la Corte europea ha respinto il ricorso, e ora quelle lancette si sono rimesse in moto: a maggio del 2014, ci dice l’Europa, la questione dovrà essere risolta. Una disperata corsa contro il tempo. I radicali una road map per la giustizia, cosa fare, da dove cominciare lo dicono e lo sanno. Chi è contrario e si oppone all'amnistia, oltre al patetico "pio pio" e "bla bla" di queste settimane, che cosa offrono e propongono? Attualmente, dice il DAP, in Italia ci sono circa 47mila posti-carcere. Sulla carta però. Se si tiene conto dei molti padiglioni definiti inagibili, i posti si riducono a 40-41mila reali. E sono oltre 60mila le persone che vi vengono stipate. Questa la situazione, e, come abbiamo detto, abbiamo appena un anno di tempo per porvi rimedio. Il segretario della UIL Penitenziaria, Eugenio Sarno dice: «Il preventivato rigetto del ricorso presentato avverso la sentenza della CEDU impone all’Italia di trovare quelle soluzioni che non sono state trovate da cinquant’anni. Ne sovviene che per regolarizzare, sebbene temporaneamente, la situazione all’interno delle carceri il Governo e il Parlamento non hanno alternativa dal promulgare un provvedimento di indulto ed amnistia».

Di questo è andato a parlare l’altro giorno con il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri; che fedele al suo costume, ha diligentemente preso nota, non ha detto "sì", ma neppure "no". Ma risposte andranno date con urgenza. Lo impone l’Europa, lo impone un elementare senso di umanità che non dovrebbe abbandonarci neppure di fronte ai casi più efferati e laceranti. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, per esempio, segnala il caso di un detenuto di 82 anni, malato di tumore alla prostata, alla vescica e alla gola, rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia. Per un reato commesso nel 2004 deve scontare una pena di tre anni. La legge è legge; ma ha senso tenere in carcere una persona come questo detenuto? Perché nel suo caso non si applica la pur prevista misura alternativa alla detenzione in carcere? Tanto più che il detenuto, a causa del sovraffollamento del penitenziario, è “ospitato” in quella che era sala per il ping pong, trasformata da tempo in una cella per 15 detenuti e con un solo bagno alla turca a disposizione.


di Valter Vecellio