martedì 4 giugno 2013
Anche nella giornata antifumo, fuori dal ristorante, al freddo ed al gelo, si sono trovati su dieci avventori, in quattro con sigarette ed accendino, a perpetrare l’antico vizio. Le ricorrenze laiche del "politically correct" sono così tante da risultare inflanzionate, così in pochi si sono accorti del 31 maggio, giornata mondiale contro il fumo. L’eccezione l’ha fatto il divieto annunciato ed iperideologico del Ministro della salute francese, Marisol Touraine, alla sigaretta elettronica nei luoghi pubblici, non tanto per motivi di salute quanto perché l’elettrosigaretta, secondo uno studio commissionato dal governo Hollande, non aiuta a smettere di fumare, anzi incita al consumo.
L’unico dibattito italiano sull’elettrosigaretta anima gli uffici finanziari sulle modalità di introduzione di nuove tasse ad hoc, ora che il gettito fiscale delle sigarette è in calo. Dalle sigarette nel ‘91 lo Stato ricavava un gettito complessivo di circa 4,5 miliardi, aumentati di quasi tre volte in undici anni, ad oltre 13 miliardi. Preoccupa però il calo delle vendite annuo del 2,4%. L’Italia più povera sta tornando alle pratiche miserande della raccolta dei mozziconi per rifare sigarette con i resti; nella migliore delle ipotesi, se le rolla, come si fa per le canne di marjuana. Torna il contrabbando delle bionde, che era sparito da un decennio, e fa sparire 500 milioni all’erario. In questo contesto le solite urla salutiste, ripetute con parossistico furore e con toni evidentemente ridicoli, barriscono a vuoto. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le sigarette causano l’Olocausto del 20% delle morti nei Paesi sviluppati. Peccato che Giappone e Germania, paesi di nota salubrità, abbiano le norme più tolleranti sul fumo.
Viene detto che ogni anno nel mondo perdano la vita circa tre milioni di persona a causa del fumo. In realtà muoiono di vecchiaia. Sui pacchetti di sigarette è posta la scritta “uccide”. Parole che secondo la stessa regola dovrebbero essere poste a caratteri cubitali su auto, camion, aerei, fabbriche, cantieri ed ogni altra attività umana, fino ad Equitalia. Parole che paradossalmente dovrebbero dare adito ad una colossale "class action" per manifesto non funzionamento del prodotto. Sparare in viso con una rivoltella uccide, fumare in viso no, o forse se lo fa, funziona con un effetto ritardato di 30 anni. Troppi, per poter dire che uccida veramente. Nell’Italia della crisi economica, pochi sono incappati nei più di 300 centri anti-fumo, di cui la maggior parte dlislocata presso ospedali e Asl, che non hanno mai raggiunto la notorietà dei centri antidroga Sert. L’attenzione peraltro è scarsa anche verso le droghe, incluse quelle pesanti che uccidono, sul serio, solo nel 4% dei decessi in età giovanile. In un paese dove la vita si allunga nell’angoscia di pessime vecchiaie, non fa certo notizia.
Il 31 maggio a qualcuno sui treni è capitata la sorpresa di incontrare attivisti del sistema sanitario nazionale sensibilizzanti sul tema del fumo, ma li hanno accomunati a quei giovani che invece di farsi pagare per distribuire volantini per pizzerie e disco, raccolgono firme e denaro per Greenpeace o gli uffici Onu per gli esuli. Nel mondo si contano circa 1 miliardo di fumatori, consumatori di 6.5 kg/anno di tabacco. Eroici, emarginati, isolati, raffreddati dal tempo passato sotto pioggia e freddo, i fumatori italiani restano quasi 11 milioni (20,8%) e pagano il 7% degli stipendi alle strutture che li angariano. Sono il 24,6% degli uomini, il 17,2% delle donne (26% e 21% al Sud e nelle isole). Nel 2001 fumava il 23,7%; nel 2005, con l’entrata in vigore della legge Sirchia, il 22,2%. Passata la paura, poi nel 2009 i fumatori salirono di due milioni, arrivando al 29% degli uomini e 18% delle donne. Oggi sono scesi di nuovo arrivando ad una sorta di zoccolo duro. Fino al 2007, infatti, provava a smettere il 30% dei fumatori, oggi tenta solo il 23%. Tutte le campagne hanno indotto solo il 12,8% a smettere. La diminuzione non è dovuta agli allarmi salutistici ma ai costi.
Le sigarette ed il tabacco sono sempre più cari con un’incidenza fiscale superiore al 70%. La vendita delle sigarette è calata da 100 milioni di chili a 85, con grandi paure per i 200mila addetti nostrani del settore. Questi 11 milioni sono un grande simbolo di disubbidienza al potere ed ai fanatismi religiosi, anche di tipo laico. Sottoposti a propaganda continua, sono divisi fra di loro. Dei 4 fumatori fuori del ristorante, solo uno rivendica la sua libertà; un altro tace; un terzo fumando difende i non fumatori, il quarto si lamenta del costo. Intanto fumano. Attutiscono con questa valvola di sfogo la crescente crisi di nervi sociale che è sempre sull’orlo di scoppiare in questa alta marea di frustrazioni che è la società. Implicitamente rivendicano la libertà del popolo per i suoi vizi limitati, che non impediscono di ubbidire ai tanti dettami della società. E chi dovrebbe essere la loro voce preferisce adottare le posizioni dei vertici e del proibizionismo, anche delle cose innocue. Qui sta la miopia della politica. Avere sottocchio 11 milioni di elettori e fregarsene. La speranza in fondo, per i fumatori, è il divieto totale. Sarebbe il trionfo del contrabbando ed insieme una grande riduzione fiscale. Verrebbero meno una decina di miliardi per la sanità, ma la vita media resterebbe la stessa. Lorenzin, invece di vivacchiare, stupiscici.
di Giuseppe Mele