sabato 1 giugno 2013
Il Consiglio dei Ministri dovrà decidere dopo le dimissioni del cda chi dovrà guidare l’Ilva e se soprattutto dovrà essere in qualche modo venduta o nazionalizzata. Bisognerà trovare una soluzione. Corrado Clini, direttore generale del Ministero dell’Ambiente, ex ministro dell’ambiente nel precedente governo Monti, si è occupato a lungo della vicenda Ilva. Ha riferito che intanto la situazione critica nuova che si è creata deriva dall’iniziativa della magistratura che non è entrata nel merito dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) rilasciata il 26 ottobre. La Procura di Taranto e il gip avevano sollevato molte eccezioni di incostituzionalità sulla legge, poi la Corte Costituzionale si era espressa a favore. Sostanzialmente la discussione che si è aperta non fa riferimento al merito delle iniziative di risanamento ambientale che devono essere adottate.
Queste finalmente ora sono considerate da tutti, secondo l’exministro, un punto di riferimento e un passo avanti importante perché fino al 9 aprile, cioè fino a quando la consulta non si era pronunciata sulla legge sembrava a molti che questa autorizzazione integrata ambientale fosse invece quasi un regalo all’Ilva. Ora la nuova situazione si è creata per il fatto che il presidente Ilva Bruno Ferrante e l’amministratore delegato Enrico Bondi si sono dimessi perché ritengono di non essere in condizioni di poter gestire il centro siderurgico di Taranto dopo il sequestro di 8 miliardi, disponibilità finanziarie che ritengono necessarie per gestire gli impianti e soprattutto per realizzare gli interventi di risanamento ambientale. Questo è il nodo che si è venuto a creare oggi e che ha aggravato la situazione. Nodo che in parte potrebbe essere sciolto dalla pronuncia della Cassazione o del Tribunale del Riesame, però questo purtroppo avverrà, se avverrà, in tempi che sicuramente non sono compatibili con il mercato nel quale si muove questo grande gruppo industriale.
Per questo il governo sta cercando di trovare una soluzione che consenta la continuità produttiva e la prosecuzione del risanamento ambientale dell’azienda. Però la questione non è facile da dipanare perché le soluzioni devono essere incardinate in una norma nazionale e in una direttiva europea. Per esempio una procedura di nazionalizzazione che pure potrebbe essere possibile, oltre al fatto che richiede le risorse finanziarie, richiede però anche una autorizzazione preventiva da parte della Commissione Europea in materia di concorrenza. Si è sentito parlare anche della possibilità che subentri la Cassa Depositi e Prestiti. In ogni caso si tratterebbe di risorse pubbliche che entrerebbero in una azienda privata e questa non sarebbe una partita semplice da portare avanti proprio perché ci si muove in un regime di concorrenza e un’azienda che copre il 40% del mercato non è proprio l’ultima. Ricordiamo che sostanzialmente vi sono due esigenze da tutelare quella occupazionale, l’Ilva dà lavoro a quarantamila persone con l’indotto e quella della difesa della salute, se c’è un disastro ambientale dice la Procura, devo intervenire.
Ma sui tempi che servono per risanare l’Ilva, l’exministro ricorda che quando è stata rilasciata l’AIA, l’ Ilva l’ha accettata. Questo è stato un fatto positivo perché negli anni precedenti l’Ilva si era sempre opposta. Quindi il piano di risanamento ambientale è partito, e l’Ilva non è una semplice officina meccanica per cui richiede interventi tecnologici molto complessi. La modularità degli interventi in relazione anche alle tipologie delle tecnologie che si devono usare comunque prevedono tempi per il risanamento di 36 mesi al più tardi. Entro questo tempo l’Ilva deve realizzare tutti gli interventi programmati con una possibile flessibilità prevista dalla legge però all’interno di questi tempi, cioè complessivamente non si può andare oltre. In questo periodo l’azienda può continuare a lavorare senza ulteriori limitazioni.
L’Aia è un’autorizzazione all’esercizio degli impianti perciò è stata fatta proprio in funzione della continuità produttiva che deve essere contestuale al risanamento. C’è un limite alla produzione che è attorno agli 8 milioni di tonnellate, oggi pare ne faccia attorno ai sei milioni e mezzo. Ci sono tutte le possibilità perché l’azienda prosegua l’attività anche se c’è da coprire un terreno pare di 70 ettari. L’azienda ha avviato progetti per la copertura dei parchi e dei nastri trasportatori anche se su questo ha chiesto una rimodulazione dei tempi. Il Ministero dell’Ambiente sta appunto esaminando questa procedura, secondo Clini, diversamente da ciò che qualcuno ha dichiarato, pensando ad un silenzio assenso.
di Vito Piepoli