martedì 28 maggio 2013
Non è una difesa del cittadino Silvio Berlusconi, anche perché se si fa difendere sul piano politico-comunicativo dalla portavoce dei parlamentari Pdl, on. Carfagna, la condanna nelle intelligenze del Belpaese è assicurata. È una critica allarmata all’operato di molti di coloro che sono deputati ad applicare le norme, che esercitano la funzione giurisdizionale, chiamati ad amministrare la giustizia, che godono di una serie di garanzie, più accentuate rispetto a quelle degli altri pubblici funzionari, volte ad assicurare l'indipendenza del potere giudiziario. Sono state depositate le motivazioni dei giudici della Corte d’Appello di Milano (Galli-Minici-Scarlini) in merito alla condanna del cittadino Silvio Berlusconi nel processo Mediaset.
«Era assolutamente ovvio - scrivono - che la gestione dei diritti, il principale costo sostenuto dal gruppo, fosse una questione strategica e quindi fosse di interesse della proprietà, di una proprietà che, appunto, rimaneva interessata e coinvolta nelle scelte gestionali, pur abbandonando l'operatività giornaliera». Ben orientati dal quotidiano “Il Fatto Quotidiano”, che come è noto fa giurisprudenza ad ampio spettro (interpretazioni difensive definite non senza ipocrisia “formalistiche”). Vale sottolineare che la Cassazione nel motivare il diniego al legittimo impedimento, avanzato dal cittadino Berlusconi, nell’ambito del processo Mediaset ha esaltato il merito dei Giudici di 1° grado (D’Avossa-Lupo-Guadagnino) per l’impegno profuso ad evitare la prescrizione nel depositare la motivazione unitamente al dispositivo della sentenza. Sembrerebbe di capire che le ventennali diatribe sui termini della prescrizione e conseguentemente sui tempi dei processi (brevi-lunghi) potrebbero essere superate da un maggior impegno dei Magistrati tutti, che potrebbero conformare la produttività del proprio lavoro ai parametri dei colleghi di Milano, i quali in un momento di straordinario impegno collettivo lavorano anche di sabato, diversamente da alcuni Giudici che di turno due volte alla settimana si presentano in udienza verso le ore 10.00 dell’iniziato mattino.
I magistrati “fanno il loro mestiere” suggerisce la Cassazione (!) Sì, sovente nella redazione delle sentenze con il copia incolla, confondono tra uno sfratto per morosità ed un licenziamento, unificando sul p.c. soggetti di cause diverse e questioni altre (Corte d’Appello di Roma). Ma veniamo al fondante “principio dell’ovvio”. Un contrasto tra genitori separati sulla dieta alimentare del figlio minore ha assunto aspetti rilevanti sul piano civile, ma anche sul piano penale (le note condotte aggressive del maschio offeso dalla separazione). La madre (celiaca accertata), forte di una serie di esami diagnosti che segnalano per il figlio una affezione celiaca e/o intolleranza al glutine, somministra al figlio alimenti privi di glutine, mentre il padre è convinto, sulla base di altri esami, che il figlio non sia celiaco e non sia intollerante al glutine e, quindi, lo alimenta con sostanze contenti glutine. Il contrasto, considerata la nota difficoltà a diagnosticare la affezione celiaca/intolleranza al glutine, ha generato una serie di procedimenti giudiziari volti ad accertare la condizione di salute del minore, ma soprattutto ad ottenere una decisione che possa stabilire che non solo non è necessaria la gravità del pregiudizio, ma neppure occorre che un pregiudizio si sia già verificato, essendo sufficiente il mero pericolo per la salute del minore.
In data 13 agosto 2012, davanti al Tribunale Civile di Tivoli è stato depositato un ricorso, da parte della madre del minore, considerato che era emersa una nuova prova (un valore che indica una reazione immunologica al glutine compatibile con sospetto morbo celiaco). Con ordinanza (sentenza) emessa in data 2 novembre 2012 il Giudice Dott.ssa Anna Maria Di Giulio ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto la madre è carente della legittimazione ad agire. In altre parole la madre non può rappresentare il figlio. La ricorrente è stata condannata al ristoro delle spese di lite per circa 2.500,00 euro. È stato proposto reclamo al Collegio. Il Giudice relatore Dr. Alessio Liberati, il 22 marzo 2013, dichiara l’errore del Giudice 1° grado (Dott.ssa Anna Maria Di Giulio) - la madre può rappresentare il figlio -, ma la soccombenza delle spese del giudizio 1° grado vengono confermate, circa 2.500,00 Euro. Inoltre, nel merito il Giudice del reclamo dichiara che la copiosa documentazione fornita da parte reclamante (la madre del minore) non ha fornito prova certa della esistenza di una intolleranza al glutine, ma solo un possibile sospetto.
Con condanna alle spese del giudizio di altre 2.500,00 euro. È del tutto “ovvio” che la madre può rappresentare il figlio minore, ma non solo è “ovvio” lo affermano l’art. 320 c.c., il minore in quanto incapace ex lege deve essere rappresentato, la rappresentanza spetta di regola ai genitori; l’art. 75 c.p.c. e artt. 1 e 2 della Convenzione di Strasburgo (al minore deve essere riconosciuta la capacità di essere parte in un processo, con il solo difetto della legitimatio ad processum, ossia il potere di proporre direttamente e personalmente la domanda, per cui dovrà farlo tramite un suo rappresentante, come prevede l’art. 75 c.p.c., ossia di regola il genitore); l’art. 81 c.p.c. –sostituzione processuale – il minore sta in giudizio attraverso il genitore o di chi esercita la potestà familiare; l’art. 164 c.p.c. Come è pure del tutto “ovvio” che il semplice sospetto di una affezione di celiachia e/o intolleranza al glutine obbliga a sospendere la somministrazione di cibi contenenti il glutine, considerato che si può morire. Speriamo che il “principio dell’ovvio” e l’abrogazione di “ipocriti formalismi” (secondo i giuristi del “Il Fatto Quotidiano”) possano entrare a pieno titolo nelle aule giudiziarie.
di Carlo Priolo