mercoledì 15 maggio 2013
La notizia era sul Corriere della Sera di martedì 14 maggio, ‘esiliata’ in un trafiletto in 24esima pagina. Il titolo, già di per sé, era eloquente: «Il giudice si astiene per un legame su Facebook». Proviamo a sintetizzare. Sul proprio profilo Facebook, il dottor Sebastiano Mignemi, giudice della prima Corte d’Appello di Catania, aveva ‘taggato’ sulla propria bacheca il profilo di un’associazione civile (“Cittàinsieme”) che è parte civile nel processo di secondo grado sul buco di bilancio al Comune etneo e nel quale era uno dei giudici anche lo stesso Migneni.
Il quale ha spiegato al quotidiano milanese di aver compiuto il passo indietro «per evitare dubbi e sospetti sull’andamento del processo», ma anche per «fugare ogni dubbio nei confronti degli imputati sulla imparzialità della Corte d’Appello chiamata a giudicare gli ex amministratori comunali». Ma pensate voi: in Italia esiste un giudice che a causa di un semplice rapporto di conoscenza ‘virtuale’ con una delle parti di un processo, si astiene a giudicare nello stesso e fa un passo indietro. “Eppure esiste!” verrebbe da gridare ai cosiddetti quattro venti guardando quasi con non immotivata meraviglia al gesto del dottor Mignemi. Il cui eccesso di zelo è, per certi versi, encomiabile e va oltre l’immaginabile. È che poi, purtroppo, ti vengono in mente le foto delle bisbocciate tra amici, parenti, fratelli e sorelle effettuate in terra di Puglia e quello che sembra, appunto, eccesso di zelo, repentinamente si trasforma in esempio da seguire.
di Gianluca Perricone