La retorica (bolscevica) del "cambiamento"

mercoledì 17 aprile 2013


«Noi cambieremo tutto fino all'ultimo bottone...», così scriveva all'indomani della presa del Palazzo d'Inverno Vladimir Majakovskij, cantore della Rivoluzione d'Ottobre, morto suicida appena trentasettenne. E da quelle macerie si sviluppò la più grande tragedia del secolo scorso. Anziché costruire il famoso uomo nuovo, in grado appunto di cambiare radicalmente il volto dell'intera società mondiale, i bolscevichi crearono i pressupposti per una delle più lunghe e feroci dittature della storia. Ciononostante, pur all'interno di un contesto socio-economico profondamente diverso, anche oggi in Italia si continua a rincorrere l'illusione di cambiare le cose con un semplice atto di volontà della sfera politica. Soprattutto con il dilagare del grillismo, apoteosi del cittadino comune al potere, l'idea vaga di cambiare le cose tanto per cambiarle sembra pervadere come una febbre l'intera nazione.

Ed è proprio sulla base di questa illusione che il traballante Bersani si è andato ad infilare in un vivolo cieco, cercando di convogliare in una azione di governo le confuse opzioni grilline. Ovviamente, come per l'amore o per la religione, ognuno immagina tale cambiamento sulla propria misura personale. E dunque, in un Paese afflitto da decenni di collettivismo strisciante, una buona parte degli italiani si aspettano da questa rivoluzione incruenta del M5S ancora più Stato e più spesa pubblica. Sebbene tale movimento peschi in modo molto trasversale anche nei settori più produttivi, nondimeno appare maggioritaria al suo interno la spinta ad allargare ulteriormente i confini della mano pubblica.

Con ciò realizzando, per noi incalliti liberali, un decisa modificazione in peggio della condizione generale del nostro sistema. In realtà, proprio in considerazione che i veri e duratori cambiamenti sociali ed economici avvengono lentamente e in gran parte ad opera della cosiddetta società spontanea (in questo senso la buona politica è quella che dà l'ultima spintarella a tali processi evolutivi), la strada maestra per modificare in meglio le cose passa esclusivamente per una ragionevole riduzione del peso dello Stato. Soprattutto all'interno di un Paese soffocato dalla spesa pubblica, dalle tasse e dalla burocrazia, l'unico cambiamento accettabile non può prescindere da un profondo allentamento di questo drammatico cappio al collo. Sotto questo profilo o si taglia lo Stato a tutti i livelli, costi della politica compresi, o si muore. Tertium non datur.


di Claudio Romiti