A.A.A. Cercasi tagliatori di spesa

giovedì 28 marzo 2013


Mentre proseguono le surreali trattative di Bersani per mettere in piedi un governo, è uscito un dato economico agghiacciante: dall'inizio della crisi il Pil italiano è sceso di oltre 7 punti percentuali. E ciò, soprattutto a beneficio di chi non è uso a far di conto, significa che la relativa perdita di gettito conseguita dall'erario è stata finora tamponata da un aumento della pressione fiscale senza precedenti. Ma di questo passo, dato che i continui inasprimenti delle tasse -da qui alla prossima estate è in arrivo un'altra carrettata di imposte- contribuiscono ad avvitare l'economia in una spirale recessiva senza uscita, si arriverà molto presto al redde rationem. Dunque, all'interno di un sistema pubblico che è arrivato a spendere ben oltre 800 miliardi di euro all'anno -qualcosa come il 55% del reddito nazionale- vi sarebbero poi solo due strade se il Paese non riprende a crescere in tempi rapidi: tagliare con l'accetta ed in modo lineare tutti i capitoli della stessa spesa pubblica o fare semplicemente bancarotte, uscendo in modo catastrofico dall'euro. A meno che non si comincino a gettare le basi per una decisa inversione della tendenza in atto, adottando tutta una serie di misure volte a ridurre seppur gradualmente il perimetro pubblico, allentando contestualmente il cappio tributario che soffoca la nostra economia.

Solo che per mettere in piedi un simile progetto, dai risvolti ovviamente molto impopolari, ci vorrebbe una maggioranza politica che abbia davanti un orizzonte temporale di almeno una legislatura o, in subordine, che possa contare su un ampio consenso parlamentare, simile a quello dell'esecutivo Monti. Quest'ultimo, soprattutto nella prima fase a Palazzo Chigi, poteva godere di un ampio spazio di manovra, tale da controbilanciare la relativa brevità del suo mandato. Ciononostante, probabilmente per successivi calcoli elettorali, l'esecutivo dei tecnici ha deciso di operare la sua azione di risanamento essenzialmente dal lato delle nuove entrate, ad esclusione della sacrosanta riforma delle pensioni. Questo però, se nell'immediato è servito a fare cassa in tempi rapidi, ha sostanzialmente depresso tutti i settori economici, disincentivando altre ogni modo consumi ed investimenti. A tale proposito, è uscito in questi giorni un dato allarmante relativo alle operazioni di borsa, crollate di oltre un terzo dacchè è stata introdotta la demenziale tobin tax, che dimostra proprio la necessità di cambiare strada, riportando il rapporto tra Pil e tassazione ad un livello sostenibile.

E sebbene il sistema necessiti di riforme strutturali i cui effetti si possono solo verificare nel medio e lungo periodo, nondimeno se non si comincia a ridurre a regime il peso dello Stato la situazione generale non può che peggiorare. Invece, ed è questo un elemento sul quale quasi nessuno si sofferma, la realizzazione di siffatte riforme - così come accade positivamente ai titoli di borsa quando le relative aziende annunciano tagli strutturali nei costi di produzione - farebbe immediatamente salire il tasso di fiducia nel Paese, determinando il calo dello spread e l'afflusso di nuovi capitali. Soltanto che le forze più responsabili del Parlamento dovrebbero mettere da parte i loro interessi di bottega, adottando una eventuale linea di governo di stampo reaganiano. Il problema è che attualmente il pallino ce l'ha un signore che per cercare di vincere le elezioni si è appoggiato ad una base di consenso che chiede ancora più Stato, più spesa e più tasse. La qual cosa mi rende molto scettico sul futuro prossimo venturo. Staremo a vedere.


di Claudio Romiti