martedì 19 marzo 2013
Quando un unico partito rappresentava l’intera istanza marxista, popolare e populista delle classi meno abbienti, basse e mediobasse, restavano alcune divisioni, anche nella massima unità contro il potere dei notabili liberali. Queste divisioni che sarebbe riduttivo chiamare componenti riguardavano tre riferimenti, più che politici, paraistituzionali: il partito, il gruppo parlamentare ed il giornale. L’Organizzazione, la Politica, cioè le posizioni concrete in relazione ai problemi reali e la Comunicazione. Era un trittico permanentemente in lotta tra conflitti e mediazioni. Il paradosso è che il gruppo parlamentare, proprio l’unico che poteva dirsi effettiva espressione del voto, venne sempre messo alla gogna per il sospetto di tradimento del mandato politico ricevuto. Oggi non è cambiato molto malgrado la rivoluzione tecnologica.
Qualunque organismo politico deve attrezzarsi sui tre livelli. Se non conferisce a ciascuno la dignità necessaria, ne guadagna in rapidità decisionale e coesione, ma perde il relativo potere. Oggi ci sono partiti che hanno smantellato l’organizzazione o l’hanno ignorata; e risultano ondeggianti nel rapporto con la società. Altri hanno perso il controllo della comunicazione; e questa, nei panni di giornali e media fiancheggiatori, fa una propria politica autonoma che sostituisce quella del partito. Altri ancora si hanno un programma d’utopie o di idee irreali, e la loro capacità di influenzare le decisioni effettiva è divenuta nulla. Fra il 1892 ed il 1919, prima della nascita del partito cattolico, l’unico partito di cui sopra in Italia fu il Partito Socialista. Per un ventennio divise l’antagonismo politico ai partiti liberali con radicali e repubblicani, poi con l’irrompere del voto generale, fu l’unico partito di massa.
Gli bastarono per esserlo 1,8 milioni di voti e 170mila membri iscritti, poiché i votanti erano solo dieci milioni, la popolazione mondiale 1,5 miliardi, gli italiani la metà di oggi, i lavoratori 15 milioni, un milione i sindacalizzati. Quando vinse la logica dell’”uno vale uno” con il suffragio universale maschile ed il voto concesso anche ad analfabeti senza proprietà, questo partito ebbe il 32,3% della rappresentanza parlamentare. Sulla carta, si trattava di un partito solo operaio, cioè del lavoro artigianale, contadino e manuale. Il suo primo nome infatti fu Partito operaio, poi Partito dei lavoratori. Un idea esclusivista e corporativa che di per sè rifiutava la democrazia rappresentativa. L’Organizzazione avrebbe preferito, come avveniva inizialmente, che le iscrizioni avvenissero tramite le categorie dei lavoratori e degli artigiani. Con le adesioni individuali, il profilo partitico cambiò. Intellettuali, studenti, professionisti e pure possidenti finirono per rappresentarne più del 20%, come i contadini e più degli artigiani, riducendo la quota operaia al 40%. Poiché i candidati ed eletti alla Camera, dovevano avere almeno le nozioni minime per esprimersi e raccapezzarsi nelle istituzioni, il gruppo parlamentare socialista finì per essere espressione del primo 20% intellettual-professionale che formò in permanenza anche la maggioranza del gruppo dirigente.
Disse il Michels: «Le elezioni dimostra(no) che l'idea operaia alla lunga non basta». Il gruppo parlamentare in genere di estrazione borghese (a parte operai come Rigola, Lazzari che però aveva studiato fino al ginnasio), coinvolto a pieno titolo con le istituzioni e dovendosi pronunciare sui provvedimenti, diventò l’espressione del desiderio moderato (sempre nell’ambito di un partito antagonista) di portare miglioramenti concreti al popolo più che rivoluzionare il mondo. La Politica, cioè il gruppo parlamentare, diventò il rappresentante per antonomasia del riformismo, sempre accusato di svendere gli ideali. L’Organizzazione, cioè il partito, poggiava da un lato sulla struttura territoriale di sezioni e circoli da cui uscivano numerosi sindaci e consiglieri locali e dall’altra sulla costellazione di organizzazioni di classe di categorie sociali sindacali e cooperative. Come partito, come sindacato CgdL, nato nel 1906, come associazione degli amministratori, nata nel 1909, l’Organizzazione si manteneva più stabile, massimalista nella propaganda per attirare seguaci, ma moderata perché se era ostile al al capitale non lo era più allo Stato. I suoi uomini erano più vicini come estrazione alla base rappresentata. La Comunicazione era il giornale nazionale, l’Avanti, riferimento per altri mille periodici, e faceva una sua politica autonoma, tendenzialmente extralegale e massimalista. Nelle mani di pochi, la redazione era una organizzazione ristretta ed elitaria, preparatoria di statisti come di rivoluzionari professionali. Qui ad ogni congresso o fibrillazione politica, l’orientamento poteva cambiare in parte o del tutto.
Nel dibattito Organizzazione-Politica-Comunicazione, la prima stava a guardare il litigio degli altri due, di cui il primo prendeva decisioni ed il terzo scomunicava chiedendo le dimissioni del primo. Quel che si assiste oggi a sinistra non è diverso, anche se le sezioni in parte sono divenute circoli, caucus e club. La Politica Pd ha schiacciato la sua Organizzazione, di cui non ascolta le istanze. (Se la Cgdl restava proposte e autonoma e gradualista, la Cgil ha un vertice mutuato dal Pd). La Comunicazione è esterna (Repubblica, Rai3) che la schiaccia dettandole la linea. Nel M5S, per la crescita improvvisa, la Comunicazione (web ed indiretta dai media) è leader sull’Organizzazione e sulla Politica ma ora deve dimostrare quanto effettivo sia questo controllo. Il miracolo di Grillo è quello di essersi inserito nella Comunicazione (esterna) Pd, per l’idea di quest’ultimo che il comico abbia inglobato le istanze di Ingroia, Coccia, Guzzanti, Teatro Valle occupato, girotondini, comunisti e vendoliani. Così la Politica Pd è disposta a cambiare il programma elettorale appena messo al vaglio del suo 30% di voti, per seguire una Comunicazione non sua. A sinistra l’Organizzazione ha sempre avuto l’idea sbagliata che le elites estreme siano voce della sua base; nella sua storia, però, la Politica si è sempre rivoltata contro quest’idea, anche al prezzo dell’espulsione. Oggi anche la Politica china il capo, davanti al magistrato ed al peace keeping, dietro la condanna espressa anche solo per essersi attenuta all’ordine della Comunicazione esterna. È proprio vero, non c’è più politica (forse religione sì)
di Giuseppe Mele