giovedì 7 marzo 2013
La riforma del Consiglio Gie (Consiglio generale italiani al’estero, presieduto dal ministro degli Affari Esteri e composto da 94 consiglieri, di cui 65 eletti direttamente all'estero e 29 di nomina governativa) dopo anni di accanite discussioni in Commissione al Senato, ancora una volta è rimasto inalterato e fermo alla legge istitutiva del 1984. D’altra parte, i risultati delle elezioni 2013 continuano a confermare la disaffezione e l’allontanamento degli italiani all’estero dalla politica Italiana, con una partecipazione al voto del 32,6 al Senato e del 31,59 alla Camera, contro i già scarsi risultati del 2008 che ha visto una partecipazione media intorno al 39%. Ecco dunque che ancora una volta, all’indomani del voto nasce la domanda: ma questa benedetta circoscrizione estero che finalità ha in ambito nazionale, se non quella di costituire un’altra “casta” di intoccabili? Inoltre, in termini di rappresentatività, emerge sempre più evidente la dicotomia esistente nella “rappresentanza istituzionale" degli italiani all’estero e quanto lo stato abbia speso per assicurare la presenza e i “Rimborsi spese elettorali e non” per l’intero sistema: pari a circa 800 Milioni di Euro!
Insieme ai “18 Parlamentari della Circoscrizione Estero” è stato istituito un Comitato Generale Italiani all’Estero (CGIE) che, nella sostanza, recepisce le stesse istanze e problematiche che dovrebbero essere esclusiva responsabilità dei Parlamentari. Oltre questo, la crisi di identità è generata soprattutto dal fatto che molti degli stessi Parlamentari si vanno orientando sulla creazione di un unico “Movimento degli Italiani all’Estero”, avendo loro stessi riscontrato una certa “mancanza di sensibilità” all’interno dei rispettivi partiti di appartenenza per le problematiche riguardanti gli italiani all’estero. L’unica eccezione è rappresentata dal Partito Democratico che, per contro, ha scoperto che anche i "rappresentanti estero" rappresentano un voto in Parlamento.
Anche in questo caso nasce il dubbio sulla veridicità del voto espresso: è possibile che per la circoscrizione estero alla Camera il 42% dei parlamentari eletti sia del Pd, mentre al Senato il Pd raggiunga addirittura il 66%? Qualche dubbio sulla correttezza del voto nasce anche da questa constatazione! Nella pratica, la legge Tremaglia del 2001, incentrata sulla creazione di una Circoscrizione Estero a se stante, è riuscita a deresponsabilizzare completamente i partiti politici nazionali, che automaticamente non intendono minimamente sbilanciarsi su una eventuale “politica” per gli italiani all’estero! E che dire del sistema di voto via posta, accentrato presso gli Uffici consolari? Se già nel 2008 si sono manifestati più esempi di “fraudolenza” e “inganno” nel sistema di votazione (Australia e Argentina), le votazioni di quest’anno con la certa diminuzione di quasi il 10% di votanti la dice lunga. E che fine hanno fatto le inchieste del 2008? Assolutamente il nulla! Non solo ma a guardar bene ancora molte sono le segnalazioni di “irregolarità” nella gestione del voto all’estero.
Ancora una volta, dunque, nel 2013 si sono avute marcate evidenze del “non gradimento” e della scarsa affidabilità del voto della circoscrizione estero. E allora, come conciliare il “dovere” di far esercitare il proprio diritto di voto per i cittadini all’estero con la “rappresentatività territoriale”? Basterebbe focalizzare l’attenzione sull’origine del problema: gli italiani all’estero hanno l’obbligo di iscriversi presso i Comuni di origine, che ne diventano unici responsabili attraverso l’Aire (Albo Italiani Residenti all’Estero). E, d’altra parte l’emigrato italiano continua a identificare nel comune di nascita o di ultimo soggiorno in Italia le vere radici sentimentali e materiali che lo legano alla terra natia.
Si tratta dunque di un richiamo all’identità nazionale espressa dai singoli che non può essere trascurata. Nella logica dell’adozione di un sistema elettorale “maggioritario” (che speriamo possa essere rapidamente e comunque raggiunto nel corso di questa legislatura) il voto per i cittadini italiani residenti all'estero potrebbe essere espresso con la preferenza da dare a candidati dei collegi elettorali nazionali. Così come il diritto di ogni elettore (dunque anche i residenti estero) di essere rappresentato a suo piacimento in Parlamento potrebbe divenire una realtà, altrettanto potrebbe essere ipotizzato per gli “eleggibili” Aire. Chiaramente accentrando il quadro istituzionale di riferimento a livello di agglomerati di più Regioni, in ragione del numero di elettori Aire presenti nelle stesse. Per quanto riguarda infine i Comites e il conseguente Cgie, sarebbe auspicabile che ne facessero parte a titolo consultivo (senza elezioni) e non oneroso per lo stato (una sorta di Consulta) i soli rappresentanti locali delle numerose Associazioni Italiane già esistenti: abruzzesi, siciliani, veneti, famiglie degli emigrati, circoli italiani, ecc, che da membri effettivi del Cgie possano rappresentare l’organo “operativo” dei rappresentanti eletti in Parlamento.
di Fabio Ghia