giovedì 7 marzo 2013
Il Pd e Bersani la lezione delle urne l’hanno capita. Ma solo a metà, come al solito. Infatti, se, al contrario di quanto aveva fatto Vendola il giorno prima con la convocazione della riunione di Sel a porte chiuse, ieri in nome di una ritrovata trasparenza era stata decisa la diretta della direzione nazionale del partito trasmessa anche da Radio Radicale, nel merito del programma in otto punti sciorinato dal segretario, si nota l’assenza del primo problema italiano: la giustizia e la sua amministrazione. Con la propaggine di quelle carceri che ci costano una trentina di condanne l’anno da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per Bersani il punto “giustizia” è il numero sette, non il due o il tre, ma quel che è peggio è che si identifica con banalità come “una nuova legge anti corruzione” e “una stringente normativa sul falso in bilancio”.
Non che non siano problemi, per carità, ma in un paese che, come i radicali di Pannella denunciano un giorno sì e l’altro pure, duecentomila processi l’anno cadono in prescrizione, 67mila detenuti occupano i posti per 44mila, 9 milioni di cause penali e civili pendono per decine di anni e l’obbligatorietà dell’azione penale è quella che abbiamo visto con il caso della prescrizione annunciata per i reati imputati a Penati (per non parlare di tragedie come quella di un innocente in carcere come Ambrogio Crespi, ormai giunto al sesto o settimo mese di detenzione senza alcun indizio che ne giustifichi la custodia in galera) il problema numero uno è la legge anti corruzione? L’ultima che hanno voluto fare a furore di popolo i tecnici ha determinato il caso della prossima prescrizione per Penati. Ma poi c’è un problema ontologico e di superfetazione legificativa ormai folle: se bastasse fare una legge per ogni qual volta un titolo di tg sensazionalista ed emotivo ci racconta, anzi “ci narra”, come va di moda dire adesso, che esiste il problema del femminicidio, della droga, della corruzione, eccetera, e se bastasse ciò per risolvere detto problema, noi in Italia avremo svoltato.
Infatti siamo stati capaci negli ultimi venti anni di fare una legge “anti” qualsiasi cosa. Norme che ovviamente non hanno cambiato alcunché. Ecco, Bersani va incoraggiato nell’operazione trasparenza, e va ringraziato per avere finalmente aperto il conclave rosso, anche se gli archivi del Pci rimangono ben custoditi dai sacerdoti e dalle vestali che bene conosciamo, però abbia anche il coraggio di reagire all’onda “grillista” con quelle idee riformatrici che da decenni radicali come Rita Bernardini, Emma Bonino e Marco Pannella gli mettono sotto gli occhi. Amnistia, giustizia e libertà sono le parole da cui ripartire per rifondare l’Italia. Inseguire il millenarismo della setta di Casaleggio o le parole d’ordine di Ingroia, con il segreto scopo di uccidere, non solo politicamente, l’odiato Berlusconi, non porterà al Pd i voti. Né l’Italia fuori dalla crisi.
Ci vuole qualcosa di radicale e di liberale anche da parte del Pd, persino da parte del Pd. La protesta si combatte con la proposta, la demagogia con le cose concrete. Se tagli dei costi vanno fatti con la politica si proceda, ma si facciano tagli anche per i superpagati dirigenti statali del ministero di grazia e giustizia e anche per i magistrati che, nessuno ancora lo sa, vista la mala parata hanno ottenuto da Monti una leggina per sganciare i loro stipendi da quelli dei parlamentari. Un trascinamento che ha funzionato per 40 anni e ha arricchito anche i più mediocri ma che ora cominciava a vacillare. E quelli hanno subito risolto così il loro problema di giustizia, coincidente con quello di Bersani: aiutare il sistema (e la loro casta) a perpetuarsi nonostante il mal funzionamento. E le condanne europee.
di Dimitri Buffa