mercoledì 6 marzo 2013
Ancora lui, parlamentare di lungo corso, ex segretario nazionale del Partito Democratico e candidato premier della coalizione Pd-Italia dei Valori per le elezioni politiche del 2008, eletto a sindaco di Roma una prima volta nel 2001, è stato poi riconfermato nelle elezioni comunali del 2006 con il 61,8% dei voti, dimettendosi da tale carica il 13 febbraio 2008 per candidarsi alle elezioni politiche dell'aprile successivo. Walter Veltroni si presenta negli studi de La7 e ci narra le differenti latitudini dei risultati delle elezioni politiche, con qualche amarcord a distrazione positiva. “Dolci e Gabbati” sembra l’analisi del voto che gli elettori italiani hanno riservato alla decorata ditta Pd. Ripete con eleganza la smentita ricetta dell’arredo politico, l’uomo delle prime primarie dei Ds. Non voler parlare di Berlusconi e guardare al futuro del Paese, ma le sue invettive, il bersaglio del suo disappunto scandalizzato, il destinatario della sua riprovazione è il Cavaliere. Il Demonio non cambia, attacca la magistratura e delegittima i magistrati.
Inqualificabile, una vergogna mondiale. Deve aver abitato all’estero Veltroni quando la ditta cambiava nome Pci, Pds, Ds, Pd, quando lo sceriffo Di Pietro sparava nel mucchio, quando alcuni magistrati con qualche inchiesta marketing sono tracimati nelle stanze di Montecitorio e di Palazzo Madama o sono diventati sindaci di grandi città, dopo aver impallinato esponenti di partito al servizio di qualche causa politica con tornaconti personali. La storia della supplenza della magistratura data dagli anni ‘80 e forse l’anagrafe non aiutano la memoria di Veltroni, maestro del pret-a- porter politico-sociale. È abile Veltroni nel remake sulla narrazione del riformismo a lanterne rosse. Aveva 14 anni nel 1969 Veltroni quando una donna che non ha bisogno di aggettivi, Nilde Iotti, prospettava all’alba della sconfitta del collettivismo le “riforme strutturali”, 43 anni prima di Monti. Sfugge a Veltroni che ancora nell’era del web in Italia il 15-20 % degli elettori è portatore sano della ideologia comunista: Rifondazione comunista, Sel (Vendola esce dopo aver perso il congresso), Comunisti italiani, Pc (Rizzo, cacciato da Comunisti italiani) ed oggi Rivoluzione Civile, più la Fiom e l’arcipelago verde a diversa denominazione.
Posizioni politiche tutte legittime, che pongono anche alcune soluzioni da prendere in seria considerazione. Si inizia dagli anni “70 con la nascita delle Regioni; liberali e repubblicani le salutano come un altro baraccone; 45 anni di bilanci sempre in rosso. Poi l’era del “decentramento”: le comunità montane, le circoscrizioni, la proliferazione delle municipalizzate, le cosiddette Agenzie (Lazio Service…), la pletora di enti pubblici di diversa natura e denominazione. Poi il 1978 con il Servizio Sanitario Nazionale (ci può essere un cretino che sia contro il diritto alla salute per tutti? Ma si sono dimenticati il “come”); l’equo canone (1978-1998) e così via cantando. L’elenco sarebbe lungo, ma l’obiettivo era palese: conquistare il governo di parti di territorio non potendo vincere contro la Democrazia Cristiana. I due eroi del Pci, Veltroni e D’Alema, dilapidano una occasione unica per conquistare la maggioranza: tangentopoli, autore Di Pietro (altro fenomeno). E cosa si inventano i due talenti: i socialisti e i democristiani sono tutti ladri. Vince Forza Italia.
E l’”omo campa”. Dopo una lunga sottovalutazione del politico Berlusconi i due sacerdoti della sinistra scatenano le procure amiche contro il Cavaliere e lui si difende con le leggi. Sempre lo stesso schema perdente: delegittimare l’avversario: truffatore, mafioso, corrotto e corruttore, con la certificazione della magistratura. Anche un adolescente capirebbe che è una strategia perdente. E così è stato. Basta che un militante, un quadro di partito, un assessorello di periferia si macchi dello stesso crimine ed il castello di carte cade rovinosamente. “Non poteva non sapere” è valso solo per l’odiato Craxi. Magistrati con la vocazione politica debordano dal territorio di competenza per occupare spazi di altri poteri, violandone l’indipendenza. Dettato i tempi e i modi della azione politica, condizionano il governo del paese. I simulacri dell’indipendenza della magistratura e della obbligatorietà dell’azione penale possono tradursi in un forte potere discrezionale. Alimentano le casse di personaggi come Travaglio. Magistrati di spicco, facendo finta di essere integerrimi, con operazioni ad alta risonanza, utilizzando visibilità a basso costo e tracimano in politica, mentre sono pendenti 10 milioni di processi e 20 milioni di cittadini della Repubblica attendono una risposta e quando giunge è fuori tempo massimo.
Sfugge all’uomo cult della sinistra che la supplenza della magistratura nasce negli anni ‘80 e dai pretori d’assalto arriviamo ai giorni nostri con la performance del simpatico Ingroia. Poi la candidatura da parte del partito più svelto e via in Parlamento. Chanel al biscotto. Intanto, l’apparato pubblico continua la sua folle espansione e il carico dei diritti da assicurare aumenta a dismisura anche per i non cittadini, nel segno della giustizia giusta, della solidarietà, dell’accoglienza.. Sono rimasti solo debiti. Servizi deve mancano fondi; uffici dove si sperpera il denaro dei contribuenti. Organici sottodimensionati, personale in soprannumero, ma nessuno risponde all’utente. L’eterno balletto delle competenze spinge alla rinuncia. Un apparato pubblico costosissimo che serve alla politica per piazzare il proprio personale e favorire le proprie clientele. Ora Veltroni vuole salvare l’identità del Pd. L’affermazione è da illusioni ottiche, vuole il vero cambiamento, altra scossa cromatica. I soldi sono finiti. Non c’è da salvare nulla, non c’è bisogno di alcun cambiamento, secondo le curve distanti. Basta interrompere la folle corsa ai diritti senza diritti, iniziare a demolire l’azienda pubblica, adottare le tecniche in uso nelle aziende private, privilegiare la produttività e la redditività anche per l’azienda pubblica. Il resto è noia.
di Carlo Priolo