mercoledì 20 febbraio 2013
La drammatica crisi dell’editoria non è entrata, in questa fase elettorale, in nessuna delle agende degli schieramenti in campo. Eppure il momento è uno dei più delicati attraversati dal settore. Si sta registrando ormai quasi un migliaio di espulsioni di giornalisti dalle redazione, sono in corso o annunciate le chiusure di una decina di testate. Il gruppo Rcs Mediagroup ha presentato un piano industriale che prevede 640 esuberi in Italia e 160 nelle edizioni in Spagna, Mondadori ha avviato un riordinamento dell’intero settore dei periodici, cassa integrazione alla Stampa di Torino e al gruppo Espresso-Repubblica. Telecom vende Ti media e con essa La 7, per il cui acquisto si è fatto avanti anche il gruppo Della Valle.
«È evidente, osserva la Fnsi, che un settore rilevante dell’industria italiana è arrivato ad un punto di allarme acuto». Al di là delle responsabilità (la scarsa lungimiranza degli editori guidati dal giornalista Giulio Anselmi per anni presidente dell’Ansa e direttore prima della Stampa e dell’Espresso, errori manageriali, investimenti sbagliati, difesa corporativa dei giornalisti e dei poligrafici) è giunto il momento di un confronto a 360 gradi di tutti i componenti del settore (editori, giornalisti, lavoratori, edicolanti, distributori) con il prossimo governo per varare subito interventi indispensabili e urgenti come la riforma delle leggi sull’editoria e l’istituzione di un fondo pubblico valido almeno un triennio per l’innovazione e la trasformazione industriale, che consenta di gestire nella maniera meno traumatica possibile le uscite anticipate per la crisi, bilanciandole con l’ingresso di professionalità giovani.
La Fnsi chiede alla Fieg di aprire, immeditamente, un confronto per affrontare, con il massimo rigore, la crisi nel suo complesso. E questo prima di discutere le singole richieste di attivazione degli armortizzatori sociali che al momento non hanno un’adeguata copertura per garantire a tutti un’adeguata protezione sociale. Una delle “palle al piede” dei quotidiani venduti nei classici canali previsti dai contratti tra editori( Fieg), edicolanti e distributori si chiama “resa”. Una montagna di giornali buttati al macero: oltre un milione e duecentomila copie al giorno. Gli ultimi dati del mese di dicembre 2012 resi noti dall’Accertamento diffusione stampa (Ads) per le testate a periodicità quotidiana sono impietosi. Alla crisi economica generale, al calo della pubblicità si aggiunge un aspetto poco analizzato e trascurato: le “rese” incidono a volte per il 50 per cento della tiratura, ed è materia di contenzioso tra edicolanti e distributori.
Se il fenomeno delle “rese” è abnorme, anche il comparto abbonamenti è deficitario. Tutti abbiamo visto nei film americani l’arrivo del commesso che deposita presso l’ingresso di casa la bottiglia del latte e la copia del giornale. In Italia gli abbonamenti non superano le 150mila copie al giorno, di cui oltre la metà appartengono al Sole 24 ore, evidentemente da parte di imprese, associazioni, imprenditori interessati ai fenomeni economici e finanziari. Scendendo in qualche particolare il Corriere della Sera e Repubblica hanno una tiratura quotidiana di 520 e 502 mila copie, una diffusone media rispettivamente di 403 e 383 mila, una resa media di 116 e 119 mila copie per una vendita totale di 367.624 il Corsera e 343.485 Repubblica. Per ora gli editori si consolano con il boom rilevato da Audiweb della risorsa Internet: il numero degli utenti dei siti web di quotidiani è passato, in un giorno medio, da 4 a 6 milioni. Per il presidente della Fieg Anselmi l’editoria attraversa una fase di crisi «ma non è un malato terminale. Sono ancora circa 22 milioni le persone che ogni giorno leggono quotidiani, 33 milioni i lettori di periodici».
di Sergio Menicucci