martedì 19 febbraio 2013
Parto da un dato che, per il momento, lascio qui, nella prima riga: l'area metropolitana di Cittá del Messico conta circa 25 milioni di abitanti. Punto. Ciò premesso, mi permetto di ricordare che il 26 novembre del 2010, a Brambate in provincia di Bergamo, scompare una bambina di tredici anni ed il cui cadavere viene rinvenuto tre mesi dopo in un campo non lontano dal luogo della scomparsa. Partono le indagini che,fin dal loro inizio, danno la netta sensazione di vagare nel buio. E, di conseguenza, gli inquirenti offrono continuamente all'opinione pubblica materiale per sorridere amaramente.
A partire dall'arrembaggio, di fronte alle coste liguri, di una nave che aveva a bordo un extracomunitario sospettato (e a tutt'oggi l'unico indagato) del delitto. Poi il nulla. Indagini che per più di due anni hanno evidentemente dimostrato che chi le conduce non sa che pesci prendere e che, di conseguenza, sottopone all'esame del dna un'intera vallata, migliaia di persone, interi nuclei familiari che la povera Yara non hanno magari neppure conosciuto. Già, il dna. È dell'altro giorno la notizia che gli inquirenti hanno deciso di riesumare la salma di un autista morto nel 1999, presunto padre dell'omicida le cui tracce di dna sono state rinvenute sugli indumenti della povera Yara. Sembra che il decuius sia il padre dell'autore del delitto ma che quel figlio lo abbia avuto fuori dal matrimonio.
Come siano riusciti a risalire all'autista non è chiaro, soprattutto perchè lo stesso è deceduto più di dieci anni prima del delitto. Ma, qualora questa ennesima (apparentemente) stravagante iniziativa giudiziaria dovesse accertare che il dna del seppellito avesse dei punti in comune con quello dell'assassino, che si fa? Chi è il figlio naturale, presunto autore del delitto e, soprattutto, dove lo si cerca? Ci raccomandiamo - e così torniamo alla prima riga di questo articolo - che a nessuno venga in mente il sospetto che il presunto assassino sia fuggito dalle parti di Cittá del Messico: 25 milioni di esami del dna sarebbero davvero troppi (e troppo costosi).
di Gianluca Perricone