giovedì 31 gennaio 2013
È chiaro che se nei guai finanziari ci capita una qualsiasi azienda, anche se con tanti dipendenti ed importanti azionisti, i problemi rimangono ristretti a lavoratori ed investitori (imprenditori). Ma quando un simile fortunale s’abbatte su una banca, per quanto piccina o grande possa essere, il problema per legge ricade su tutta la popolazione del paese. Perché una banca, per quanto gestita privatisticamente, è pur sempre un organismo di diritto pubblico. E poco vale dire “io non pago per i disastri fatti dagli uomini del Pd nel Monte dei Paschi”, perché l’Unione europea ci rammenta che, nei rispettivi ordinamenti nazionali, le banche sono “soggetti giuridici collettivi”: ovvero, pur non necessariamente appartenendo al settore pubblico, chiamano necessariamente in causa lo stato, quindi i suoi cittadini. Ecco che, se una banca fallisce la responsabilità è di tutti noi che, irresponsabilmente, abbiamo alimentato col voto una classe politica che ha malamente gestito il credito.
E cascare dalle nuvole oggi serve a poco, piuttosto dovremmo puntare il dito contro chi non ha fermato il sassolino che poi s’è fatto valanga: ricordate la storia dell’affare Banca del Salento verso Banca 121, e poi la creazione di derivati su fantasmagoriche e inconsistenti multiproprietà? Una vicenda architettata tutta in casa Pds all’indomani della morte del Pci: un fiume di quattrini che alimentò anche certi faccendieri d’aria Tosinvest, quelli del mattone targato “Bottegone”. Tutti fecero finta di non vedere, soprattutto in Bankitalia. Oggi l’Europa ci rammenta che la mancata vigilanza ricade su tutti gli italiani che, con dolo o in malafede, hanno evitato di fermare il sasso che s’è in 20 anni fatto valanga.
Al riguardo L’Ue è già pronta a metterci tutti in mora, applicando una definizione fornita per la prima volta con la direttiva Ue 92/50: ovvero siamo chiamati tutti a ripianare “qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale”. Ovvero, il ripianamento di bilancio d’una banca ricade sui cittadini dell’intero paese, nessuno escluso. E perché si tratta di soggetti giuridici patrimonializzati controllati (o sovvenzionati) dallo stato o da un altro ente pubblico. Ed è bastevole il semplice vincolo di vigilanza con Bankitalia per imporre a tutti gli italiani di mettere mano al portafogli per qualsiasi fortunale che s’abbatta un qualsivoglia istituto di credito.
E che le banche siano obbligate ad osservare la “procedura dell’evidenza pubblica comunitaria” lo sanno anche le pietre. Ma a molti ha fatto comodo non fermare il rimpallo di responsabilità, e perché tra le “persone giuridiche di diritto pubblico” ci sono tutti gli obiettivi della malagestione politica italiana: ovvero enti pubblici territoriali (Regioni, Province e Comuni), associazioni e consorzi, università, Ipab e quella sequela d’enti nel campo agricolo che di fatto alimentano da decenni le cinghie clientelari. L’Europa ci osserva da tempo, ecco che per arginare le pappatoie (soprattutto su banche ed appalti) veniva partorita la direttiva 71/305/Ce (notare che parliamo di Ce, quindi già prima dell’Ue).
Secondo un pronunciamento della Corte europea di Giustizia (sentenza del 10 novembre 1998) sarebbero tre i parametri sintomatici della natura pubblica (anche comunitaria) dell’organismo di “diritto pubblico”: il possesso della “personalità giuridica”, il fine statutario (soddisfare bisogni di interesse generale), la sottoposizione ad una “influenza pubblica”. Potremmo dire che il caso del Monte dei Paschi è da manuale. Nello specifico, in considerazione dei suoi azionisti, la banca rientra proprio nella Direttiva Ce 18/04, ovvero organismo «la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico». Tutti noi siamo chiamati a pagarne i danni, comunque è giusto ci si rivalga civilmente e penalmente su chi ha amministrato sia il Monte dei Paschi che le banche solite intrattenere rapporti con l’antico istituto senese, fossero anche banche minori aduse a scontarne cambiali (i giochi di complicità sono evidenti e dovuti a raccomandazioni politiche).
E dobbiamo ringraziare la Corte di Giustizia europea se oggi si possono chiamare in correità tutti gli “unti” dal Monte di Paschi. E perché la Corte ha ritenuto di dover fornire una interpretazione estensiva, operando così in parte una sovrapposizione tra organismo di diritto pubblico e impresa pubblica: per evitare agli Stati membri di escludere direttamente da tale ambito società commerciali sotto controllo pubblico, sebbene con carattere di diritto privato.Certo che al Pd, come ad altri soggetti politici, avrebbe fatto comodo veder escludere dalla nozione di “organismo di diritto pubblico” tutte quelle imprese pubbliche (o società) che sopportano direttamente il “rischio economico della propria attività”. Ma stare nell’Ue non è un gioco ed i vari chiarimenti sulle imprese italiane, che operano in regime concorrenziale sul mercato, ha messo con le spalle al muro manager pubblici e banchieri. Credevano tutti si potesse perpetuare all’infinito la saga dei “boiardi di stato”, gestendo con spavalderia privatistica organismi di diritto pubblico. Ma il caso dell’Mps ci ha dimostrato che si tratta di casi noti e ormai facilmente circoscrivibili.
Poi c’è quel macigno, la sentenza della Corte del 1º febbraio 2001 (causa C-237/99, Commissione/Francia), attiene all’individuazione d’un organismo che svolga «attività diretta a soddisfare esigenze generali», come le banche per esempio. Attività su cui uno stato preferisce mantenere direttamente un’influenza determinante, per incidere a sostegno di industrie e commerci, esercitando la propria attività in un sistema in regime di concorrenza: sembra che anche in questo caso la parolina banca caschi a fagiolo. Posto che sarà difficile uscire da questa Europa, è il caso che noi italiani non si paghi due volte, ovvero per rimanere nell’euro e per coprire la mala gestione di certi vecchi califfati politici. Il rimpallo di responsabilità non regge, e non si pecca certo di giustizialismo quando si chiede il blocco dei beni di chi ha partecipato alla catena di Sant’Antonio di Mussari e compagni.
di Ruggiero Capone