Truffatori e furbetti, la classica storia italiana

mercoledì 30 gennaio 2013


«Quest’amore è una finta sul ring» è il ritornello di “Jack Punk”, la canzone dei “Frida Fenner” che ha scaldato il motore di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, pellicola tratta dal libro cult  di Enrico Brizzi. Dissimulare, in fondo, è un tratto indelebile del genere umano. Dal malore occasionale per non essere interrogati a un orgasmo richiamato con il pensiero, ogni occasione è buona per cavarsela con un’azione posticcia per la cui pulizia non è necessaria una confessione in chiesa. Eppure nella farsa, spesso e volentieri, noi italiani sappiamo distinguerci con dei colpi di tacco più artistici delle magie pennellate da Leo Messi. 

In tal senso la frode ha seminato proseliti, dettando la marcia sul filo sottile del “tanto nessuno ci becca”. Le Fiamme gialle, nel 2012, hanno messo il bavaglio a truffe  e danni erariali per  6,5 miliardi di euro. Dal calderone, tra le altre cose, sono affiorati  oltre 3.500 “finti poveri”, 1.047 falsi invalidi, 1.274 dipendenti pubblici che svolgevano “doppi lavori”. Il generale di corpo d’armata Saverio Capolupo, comandante generale della Guardia di finanza, ha commentato: «L’attuale periodo di crisi ci ha obbligato a innalzare il livello di attenzione sui temi della tutela delle risorse dello Stato. Le istituzioni sono molto più impegnate ad individuare le migliori pratiche per ridurre sprechi e inefficienze e anche l’opinione pubblica è più attenta di fronte agli episodi di mala gestione o di sperpero delle risorse». 

I numeri sono impietosi, quasi quanto i conti del Monte dei Paschi:  5mila truffatori (4.600 per la precisione) sono stati denunciati all’Autorità giudiziaria, con il conseguente sequestro di beni mobili, immobili, valuta e conti correnti per 348 milioni di euro. Al ballo dell’illegalità hanno preso parte persino gli accertamenti di frodi previdenziali e assistenziali per 103 milioni di euro percepiti da falsi invalidi (oltre mille casi) e falsi braccianti agricoli (3.297 casi) o spesi per pagare la pensione a soggetti deceduti (395 casi). Sulle note hanno danzato pure “assegni sociali” (569 casi) e altre tipologie di sostegno (655 casi) a non aventi diritto. 

Una fetta dell’esercito dei poveri fasulli ha goduto di prestazioni sociali agevolate come l’accesso ad asili nido e ad altri servizi per l’infanzia, senza privarsi  della riduzione del costo delle mense scolastiche, dei buoni libro per studenti e le borse di studio, dei  servizi socio-sanitari domiciliari e delle agevolazioni per servizi di pubblica utilità, luce, gas o trasporti. Per rimanere fedeli alla coerenza, non è stato risparmiato il già claudicante servizio sanitario nazionale, a cui è stato somministrato il siero della vergogna:   1.781 i truffatori pizzicati, con un danno accertato di 72 milioni di euro;  sono stati 5 miliardi di euro di danni erariali a seguito di 1.431 controlli effettuati d’iniziativa o su delega della Corte dei conti. 

Per giunta, nel libro nero hanno messo la firma ben  1.274 dipendenti pubblici per casi di incompatibilità e doppio lavoro. “Cose di casa nostra”, verrebbe da dire, anche se il principe Antonio De Curtis, nel film Tototruffa 62, aveva sentenziato: «Dovrei lavorare invece di cercare dei fessi da imbrogliare, ma non posso, perché nella vita ci sono più fessi che datori di lavoro». Sono trascorsi cinquantuno anni, ma una delle più gettonate barzellette (in)civiche dello Stivale rimane di moda. Riderci sopra, ancora una volta, fa venire solo da piangere.


di Claudio Bellumori