martedì 22 gennaio 2013
Data, 19 gennaio 2013: piaccia o no, mi permetto (oramai lo faccio, ne sono consapevole, con una puntualità che ricorda quella tipica degli anziani) di ricordare l’anniversario – il tredicesimo quest’anno – della scomparsa di Bettino Craxi. Ed anche questa volta mi rivolgo a chi legge con quanto scritto in quella sentenza del 1997 emessa dalla corte d’Appello di Milano che condannò il leader socialista per la tangente Enimont (la cosiddetta “madre di tutte le tangenti”): «Si può dare atto a Craxi – vi si leggeva tra l’altro – che in questo processo non è risultato né che abbia sollecitato contributi al suo partito né che li abbia ricevuti a sue mani, ma questa circostanza – che forse potrebbe avere un valore da un punto di vista per così dire estetico – nulla significa ai fini della responsabilità penale». Quindi, da come si può intendere quell’assunto, Craxi non aveva sollecitato chicchessia al versamento di contributi né per il partito né per se stesso: ma tutto questo, evidentemente non contava perché il leader doveva essere punito anzi, per meglio dire, annientato. Bisognava punirlo comunque perché, quanto meno, “non poteva non sapere”.
Una formula, quest’ultima, che molto ricorda l’attuale “concorso esterno in associazione mafiosa” (almeno per come e contro di chi questa accusa viene utilizzata) e che sappiamo essere stata applicata soltanto nei confronti di chi doveva necessariamente essere “affondato”: in materia di finanziamenti illeciti, alcuni segretari di partito potevano tranquillamente far finta di “cadere dal pero”, mentre altri (e Craxi, tra questi, era il primo della lista) necessariamente doveva sapere qualcosa. Cose già scritte ma che si ritiene necessario ribadire ad ogni anniversario di quello che da più parti è stato definito un “delitto politico”: Bettino Craxi doveva pagare, in qualsiasi modo, il ruolo che sapientemente si era ritagliato nella modernizzazione del nostro Paese; doveva scontare di essere riuscito a disgregare quel “gioco delle parti” tra Pci e Dc che, con il compromesso storico, stavano praticamente soffocando tutto. Qualcuno scrisse che quella di Bettino Craxi era «una personalità indiscutibilmente scomoda da mettere, il più presto possibile, fuori gioco.
E questo poteva avvenire scoperchiando il sistema del finanziamento illegale che foraggiava tutti i partiti, e contemporaneamente modificando corposamente i poteri dei pm. Il sistema giudiziario diventava un sistema in cui questi erano padroni e gestori di ogni iniziativa accusatoria che è quella che serve per rivoluzionare un paese». Molti dei personaggi di quell’epoca sono ancora in auge e gestiscono i poteri (non soltanto politici) come facevano lustri fa; un pm (quello che, in malafede o per intrinseca ignoranza, definì “foruncolone” un piede che era invece devastato dalla cancrena come quello del leader socialista) ha fatto politica per poi cadere nella rete pseudo-moralista da lui stesso tessuta; i pm, del resto, continuano a “rivoluzionare un paese”. E allora si rende quanto meno indispensabile ricordare puntualmente la scomparsa di uno statista che, in quanto tale, ha fatto e fa ancora discutere la politica italiana.
di Gianluca Perricone