sabato 19 gennaio 2013
Possibile che Monti in televisione risponda, anche in modo un po' scocciato, che è «prematuro» parlare di alleanze dopo il voto, e intanto ne parla in incontri più o meno segreti con Bersani? I cittadini non hanno diritto di sapere se si sta cercando un accordo di governo, «un'intesa di massima a collaborare», o quanto meno un patto di non belligeranza? E i giornalisti con la schiena dritta, non dovrebbero a questo punto pretendere da Monti una risposta? Fin da subito l'operazione Monti ha assunto una chiara connotazione centrista e l'odore di accordo post- elettorale con la sinistra (sia per opportunismo, perché il Pd è da mesi vincitore annunciato delle prossime elezioni, sia per convergenze politiche) si è avvertito distintamente. Fin dalla conferenza stampa di fine anno del 23 dicembre, trasformata in un comizio contro Berlusconi, ma ancor prima, dal momento che nell'azione di governo Monti ha avuto maggior riguardo nei confronti dell'elettorato di centrosinistra, cedendo ai veti di Pd e Cgil.
Molto prima, quindi, che dalla destra partisse al suo indirizzo l'accusa di essere una «stampella» della sinistra e ben prima del suo incontro con Bersani. Che ci sia tra sinistra e centro "montiano" un patto di non belligeranza durante la campagna elettorale e un'intesa di massima per il dopo non può che rappresentare un elemento di chiarezza per gli elettori. Ma è un grave errore sia tattico che strategico di Monti, qualsiasi sia il suo obiettivo. Così facendo, infatti, si scopre su entrambi i fronti: da una parte, avvalorando la tesi di Berlusconi del "centrino" e del "leaderino" al servizio della sinistra, sarà sempre più difficile conquistare i voti di quella parte dell'elettorato di centrodestra, la maggioranza, che rifiuta qualsiasi compromesso con la sinistra; dall'altra, l'accordo annunciato con Bersani tranquillizza gli elettori del Pd preoccupati dell'influenza di Vendola e di un eccessivo sbilanciamento a sinistra dell'alleanza dei progressisti.
E' proprio per tranquillizzare questi elettori, che potrebbero essere attratti dal voto alla Lista Monti, che Bersani e D'Alema si sforzano di dare per certa la collaborazione con il professore e la sua compatibilità con Vendola. Anzi, per il Pd sarebbe la combinazione perfetta: trovarsi nella posizione di perno tra un centro e una sinistra radicale sufficientemente grandi da rendere numericamente solida la maggioranza e da essere "palleggiati" come contrappeso l'uno dell'altra, ma non abbastanza da esercitare un potere di veto. Significherebbe, per gli ex Pci, una centralità politica senza precedenti, e a lungo agognata. Ogni volta che Monti non risponde, o risponde ambiguamente, alla domanda sulle alleanze post-elettorali nel caso, molto probabile, che la sua coalizione non uscisse maggioritaria dalle urne, rafforza la sensazione dell'ineluttabilità di un accordo con Bersani, perdendo capacità d'attrazione sia alla sua destra che alla sua sinistra.
Da una parte, attaccando Berlusconi da una posizione centrista, da suo ex elettore deluso per la mancata "rivoluzione liberale", cerca in effetti di contendere all'ex premier il suo elettorato, ma dall'altra, finché permane l'ambiguità di fondo sul suo posizionamento dopo il voto, il suo "antiberlusconismo" rischia di venire percepito come una prova della sintonia e dell'alleanza con la sinistra. L'errore strategico di fondo, come ripetiamo da mesi, sta nel non aver voluto dar vita ad una nuova offerta politica di centrodestra nettamente alternativa al centrosinistra. Una forza, cioè, che in uno schema bipolare ambisse a governare senza i voti del Pd o, nel caso di sconfitta, disposta a restare all'opposizione. E' anche vero che le scelte non facili di politica economica di Monti nei suoi 13 mesi di governo hanno reso problematico il rapporto con l'elettorato di centrodestra, ma nulla è stato tentato finora per recuperarlo, a parte i goffi, tardivi e un po' irrispettosi tentativi di dissociazione dall'Imu e dal redditometro. E l'impressione è che non basti mettere in lista Albertini, Mauro, Sechi e Cazzola.
Per quasi un anno Berlusconi è stato assente dalle scene, il suo partito ridotto ai minimi termini, l'elettorato sfiduciato, smarrito, lontano, in attesa di nuove offerte alternative alla sinistra. Le quali però in tutto questo tempo non sono arrivate e ciò permette oggi a Berlusconi di credere nell'impresa, perché l'unico ostacolo che ha di fronte nella riconquista del suo elettorato è la delusione, il disgusto per la politica, la sua azzerata credibilità, ma non un'offerta politica concorrente. Proviamo a pensare alla politica nei termini di un mercato di beni: il prodotto che mancava e per cui c'era una forte domanda sul mercato politico, era un nuovo prodotto rivolto ai consumatori di centrodestra, ormai delusi dal vecchio. Purtroppo, sia il suo operato come premier, sia la tentazione di giocare una partita personale che potesse massimizzare le sue chance di tornare subito a Palazzo Chigi, hanno portato Monti ad offrire un prodotto che non colma il vuoto nel mercato.
L'ha di recente sottolineato, su Il Foglio, anche Giovanni Orsina, per il quale «con l'ovvia eccezione del Cavaliere, oggi di fatto nessuno sta chiedendo il voto all'elettorato berlusconiano», sostanzialmente a causa di un più o meno consapevole pregiudizio, se non disprezzo, una vera e propria distanza antropologica, rispetto a quell'elettorato. E l'ha spiegato ancor meglio Franco Debenedetti: «Monti si rivolge alla parte sbagliata del paese. C'è un compito, dare una prospettiva politica nuova a quel 40% di italiani che ha votato Berlusconi. L'errore dell'antiberlusconismo quale abbiamo finora conosciuto è stato di non distinguere tra Berlusconi e chi lo eleggeva, di disprezzare questi per demonizzare quello. L'antiberlusconismo ha contagiato Monti che non ha capito che quella era l'operazione che avrebbe stabilizzato e reso "europeo" il panorama politico italiano.
Invece di questo disegno, Monti ha preferito impegnarsi in un gioco che è insieme rigido nelle apparenze e ambiguo nella sostanza, che invece di imporsi come visione di assetto politico del paese, è preoccupato di assemblare sufficienti consensi per entrare nei giochi politici che si potrebbero aprire dopo le elezioni». Anche l'idea di Monti - un po' ingenua ma rispettabile e non del tutto infondata - di ridefinire i confini politici sull'asse riformatori/conservatori, piuttosto che su quello destra/sinistra, è stata vanificata, contraddetta, imbarcando Fini e Casini nell'operazione. Ma è un'impostazione, osserva correttamente Debenedetti, che esprime «una vocazione tecnocratica, per cui le riforme avrebbero ragione in sé di essere fatte e non ragioni che derivano da una visione complessiva della società». L'asse destra/sinistra sarà anche logoro, ormai incapace di rappresentare la complessità della realtà politica, ma ciò non toglie che in democrazia le diverse visioni della società contano ancora.
di Federico Punzi