Storace: «Il Lazio lo conosco a fondo»

venerdì 18 gennaio 2013


Al netto dei cinguettii di Silvio Berlusconi, dei passi indietro veri o presunti di Giorgia Meloni con tanto di battito di ali dei gabbiani (nelle ultime ore alcuni Fratelli d’Italia tra cui Fabio Rampelli sono tornati a fare la voce grossa, senza dimenticare la presa di posizione dell’ex ministro della Gioventù che deve decidere se correre da sola per la carica di presidente della Regione Lazio) e dei mal di pancia di Alemanno (il sindaco di Roma avrebbe preferito un candidato della società civile come il magistrato Simonetta Matone e ieri sull’ipotesi Meloni ha tagliato corto: «non credo che accadrà»), questi ultimi calmierati con una buona dose di sms per tranquillizzare Storace, il leader de La Destra si appresta a gareggiare per la sfida delle regionali (24-25 febbraio) contro Nicola Zingaretti.

Sciolte le riserve, al netto dei sondaggi, della “benedizione” di Berlusconi e del triplo passo all’indietro della Meloni, è lei il candidato presidente del centrodestra alla Regione Lazio?

Sono contento che il centrodestra abbia scelto di puntare su di me per riconquistare una Regione che ho avuto modo di governare e mi è stata sottratta da uno scandalo che sette anni dopo si è rivelato fasullo, con la mia assoluzione perché il fatto non sussiste. Ora ci aspettano meno di 40 giorni di campagna elettorale, tutti uniti, per far capire a Zingaretti che può “immaginare” di perdere.

A Zingaretti ha già detto “Immagina se perdi”, già sicuro di vincere?

Non sono sicuro di vincere, sarebbe presuntuoso. Se è vero che il mio competitore è in campagna elettorale già da un mese, è vero anche che è grande la mobilitazione attorno alla mia candidatura che si percepisce sia dalle tante chiamate e sms che mi stanno arrivando, sia dall’entusiasmo che si legge sui social network, da Twitter a Facebook. Una compattezza che in battaglia può sicuramente rompere le uova nel paniere alla sinistra che pensava già, loro sì spocchiosamente, di avere la Regione in tasca.

Come giudica la sentenza del Tar del Lazio sul taglio dei consiglieri?

Positivamente. Ed è il frutto della tenacia della presidente Polverini. Dopo quanto si era verificato c’era bisogno di un segnale forte, che lei ha creduto di dover perseguire in questa maniera, e i fatti le hanno dato ragione.

Cosa ha insegnato il caso Fiorito, il cavaliere ha parlato di “mestieranti della politica”, ci libereremo una buona volta di queste figure?

Vede, noi avevamo presentato una proposta per il taglio delle indennità ai consiglieri lo scorso febbraio, perché ritenevamo che ci fossero troppi soldi in circolazione. Proposta passata nel quasi totale silenzio dei media, e che ci ha attirato addosso qualche antipatia tra gli altri consiglieri. Bisogna capire che nelle istituzioni non sempre il giovanilismo è un valore, appunto per quello che è successo nel Consiglio regionale, mentre lo è l’esperienza. E io ne ho.

Se verrà eletto presidente avrà delle belle gatte da pelare, in primis sanità, rifiuti e trasporti, qual è il suo impegno?

Quello di non avere più commissari del governo. Un presidente di Regione viene eletto per governare, e nessuno meglio di lui conosce quali sono le reali esigenze del territorio. Il mio impegno è quello di riportare il Lazio ad essere la regione italiana da prendere come modello positivo, quella alla quale guardare con ammirazione. Ci possiamo riuscire.

Parlando di alcuni personaggi della Prima Repubblica, tipo Fini, ha detto che dovevano farsi da parte, anche la sua però non è proprio una faccia nuova, non crede?

Io negli ultimi 13 anni ci sono stato 2 anni in Parlamento. Queste persone che invece vogliono passare per il rinnovamento, su quegli scranni ci stanno ininterrottamente da 30 anni. C’è una bella differenza, visto che io proprio per i motivi appena detti ho avuto modo di concentrarmi, e molto, sul territorio dal 2000 a oggi. Il Lazio lo conosco a fondo.

Fallimentare l’esperienza Polverini?

Assolutamente no, sono state diverse le azioni positive compiute in questo periodo della sua amministrazione, e alla presidente va inoltre riconosciuto un merito umano oltreché politico: si è dimessa pur non essendo indagata. Un segno di grande coraggio che a sinistra, con i loro presidenti di Regione indagati, nessuno ha seguito.

I suoi avversari la chiamano “mister 10 miliardi”, la sanità del Lazio è un buco incolmabile?

I miei avversari sono monotoni e un po’ testoni: io con i miliardi che ho investito ho aperto ospedali dove la gente viene guarita, dal Sant’Andrea al Policlinico Tor Vergata, al Cpo di Ostia solo per citarne alcuni. Se si fanno debiti per garantire un diritto come quello di cura, credo si tratti di un merito. Vorrei sapere come la pensa la sinistra sui 12 miliardi lasciati in eredità al Campidoglio…

Una bufala o un’idea da replicare quella di Maroni: trattenere il 75% delle tasse dei lombardi in regione per eliminare Irap, bollo auto, ticket sanitario?

Il federalismo è sicuramente una misura importante, ci sono stati federali anche negli Usa, e qui in Europa, non è una scoperta. Se certe risorse potessero essere impiegate sul territorio, certamente il Lazio avrebbe un buon bacino cui attingere visto che siamo tra le regioni più produttive d’Italia. Ma il vero segreto è andare a prenderci i quattrini in Europa: da governatore, con Prodi presidente del consiglio europeo, il Lazio portò a casa fior di milioni e il plauso dell’Ue. Ecco, quell’esperienza va replicata.

Perché ce l’ha tanto con Monti?

Perché ha tradito: i partiti che lo hanno votato; il presidente della Repubblica che lo aveva indicato come tecnico; il popolo, perché ha fatto gli interessi delle banche.


di Stefano Cece