L’importante è rimanere a galla

mercoledì 16 gennaio 2013


Qualcuno tra i 200 depositari di loghi elettorali ha dichiarato che in fondo la presentazione delle liste è un’arte. E lo è la capacità di galleggiare per le tante formazioni politiche della cui esistenza si viene - o si torna - a conoscenza solo in occasione delle elezioni. È un’accademia, sotto traccia, responsabile della mancata diminuzione degli eletti, delle camere doppioni e, a cascata, del perdurare dei 7 miliardi di costo della politica. Un’arte facilitata dal numero di mille dei parlamentari, ognuno dei quali pesa 45mila voti di rappresentativà teorica. Per effetto delle correzioni maggioritarie, 45mila elettori effettivi nel 2008 erano proprio rappresentati da ogni deputato Pdl, 55mila da ogni Pd o Idv mentre il deputato Mpa (Movimento per l’autonomia, ndr) era voce di 51mila, quello Udc di 57mila e il valdostano di meno di 30mila elettori. L’1% nei sondaggi ha molti significati per un partito, o un piccolo gruppo di amici, che vogliano provarci. Inserito in una vasta coalizione, significa cinque deputati sicuri oppure niente, se isolato. Può valere per 30mila come 300mila voti, a seconda del contesto locale. Nascosto, come gruppo di candidati, in un altro partito, può valere un gruppo parlamentare. Moltissime formazioni oggi nelle previsioni stanno all’1%, quando non al mezzo punto.

A sinistra, i Verdi, il Centro Democratico di Tabacci, dopo la cacciata dell’ultimo esponente superstite dipietrista Donadi, il Psi nenciniano. Al centro, scomparso l’Api rutelliano, mai comparsa l’Italia Futura montezemoliana, è eclatante l’1,6% del Fli finiano. A destra la ridda dei piccoli arriva al complessivo 3%, ciascuno fluttuando a seconda dei momenti tra lo 0,2% e il 2%: Liberi da Equitalia, Ldp di Maniaci, Mir di Samorì, Pensionati di Fatuzzo, Rinascimento di Artom, Basta tasse di Garatti, Ip di Catone e Sgarbi e Fermiamo le banche, oltre al Pid siculo di Romano e al Pri calabro di Nucara. Nell’elenco c’è anche il 3L tremontiano, fuso ma visibile nelle liste e nel simbolo leghisti. A medesimi numeri cadono altri, più politicamente pregnanti, come Grande Sud-Mpa o Fratelli d’Italia, in Lombardia rinunciataria anche  sul nome. Vale la pena di esaminare le dolenti note suonanti per Fini, Meloni e Crosetto, ma anche per Fare di Giannino all’1,2% e, in discesa, i riformisti della Craxi, il PLI ed i radicali. Il gioco dell’1%, gemello del trasformismo, è molto godibile per chi, non avendo nulla da dire, ci prova, convinto di un possibile guadagno.

Il bipolarismo 2008 aveva ridotto al minimo questo gioco, poi l’incapacità di organizzarsi dei partiti e la lotta al massacro l’ha rigalvanizzato, prima nella diaspora di gruppi parlamentari e ora di liste. È invece un dramma l’1% di chi identifica la vita con politica, l’impegno, la proposta, la politica politicata e la “politica politicans”. Comunque vada, il randagismo di Fini, dal nostalgismo Msi al neoangloconservatorismo, ha mostrato un vuoto di idee, pari solo al “partito dei carini”. La volontà di organizzare seriamente il centrodestra sopravviverà, malgrado lo stop a Giannino, Crosetto, Meloni, Stefania Craxi e a chi non è sceso in campo come rottamatori e Tea Party. Evidenti i rispettivi difetti di snobismo, personalismo, componentismo, incapacità di organizzare quadri, tessere legami con le parti sociali e comporre giovanilmente liberalismo e intervento pubblico. Pure un Midas del centrodestra è reso ineluttabile dall’età di Berlusconi. Scelta di campo fissa, impegno a lavorare dentro il contenitore più grande, riconoscere e sostenere il grande popolo libero populista, senza credere ai media strumentali, sono necessari per cambiare e soprattutto realizzare in un paese in stallo. 

Diverso è invece il discorso per i radicali di Pannella, cui ogni liberal si avvicina con reverenza, identificandoli nelle battaglie per i diritti civili. Non è una novità provare simpatia e spirito di carità per i pannelliani che da anni a ogni elezione fanno una mortificante via crucis presso tutti i big, in cerca di ospitalità e garanzia di elezione per i propri candidati. Due volte corsaramente imposero il nome della Bonino quale papabile al Quirinale e al governo del Lazio. Storicamente difensori degli ultimi della terra, carcerati, drogati, clochard, dovrebbero trovare sufficienti numeri per raccogliere un congruo risultato. Invece no, sono ai minimi termini di iscritti e voti. Lo spiegano per l’oscuramento dei media. Eppure senza molte apparizioni il partito dei giudici si è attestato subito al 5%, né tutti hanno nel partito giornalisti Rai. Infinite e di tutti i tipi le occasioni colte per fare notizia, ultime le caduta del centrodestra laziale e lombardo con le campagne radicali su firme e sprechi. Sarà irriconoscente il Pd che ne ha tratto guadagno e non li ha voluti come alleati; eppure ha garantito loro ad oggi nove eletti nelle sue file ed una vicepresidenza senatoriale. Può fare tristezza l’esclusione anche dalle altre coalizioni. Meraviglia di più l’opportunismo di collocarsi dovunque a prescindere da politiche e programmi. Macchina partitica, di informazione e formazione politica per giovani futuri leader di ogni schieramento, per i radicali la politica è ragione di vita. Più think tank (serbatoio di pensiero, ndr) che partito.

Tuonano sugli sprechi ma si fanno pagare 10 milioni l’anno. Iperanticlericali e più piagnoni della Caritas. Ogni elezione un loro leitmotiv diverso, dalle staminali al carcere, dovrebbe essere misura per giudicare l’universo mondo. Sanno che dietro l’impossibile amnistia, c’è il partito dei giudici, ma non gli vanno contro con coerenza come Mellini e Lehner. Condannano come illegali l’Italia e le sue complessità ma combattono le best practises del Nord e ostano a qualunque saldezza e coerenza dello Stato. Amano i clochard ma fanno lavorare di più le donne. Vogliono i diritti, anche se il loro peso affonda il paese. Nuovi diritti ma non la rappresentanza organizzata dei lavoratori.

Raccontano la storia dei diritti civili, ad usum delphini, epurandone l’impegno maggiore dei laicosocialisti. Sono l’altra faccia della moneta dove compare la Repubblica scalfariana, con cui dividono l’eredità dell’azionismo, che condusse alcuni laici soprattutto ad affondare il socialiberismo e i suoi link patriottici nazionali e locali. Non a caso, il nome dell’ultimo parto pannelliano richiama i terzisti del dopoguerra e l’associazione fondata dal proprietario di Repubblica, già prima tessera Pd. Sono queste contraddizioni, e non altro, a condannare i radicali all’isolamento ed ai minimi termini. Malgrado la fascinazione, i laici se ne devono fare una ragione: i radicali non sono loro amici, ne è un caso se ogni attenzione loro prestata mai viene ricambiata. Dietro declino, stallo, irrisolutezza c’è il tradimento azionista del laicismo, ampiamente rappresentato da Scalfari e non meno, in altro modo da Pannella. Piuttosto che garantire eletti non giustificati, si finanzi loro una fondazione e non se ne parli più.


di Giuseppe Mele