mercoledì 9 gennaio 2013
Malgrado la dispersione dell’area di destra, la sinistra italiana non ha ancora trovato il bandolo della matassa. Il partito di riferimento, il Pd, viaggia nelle previsioni attorno al 30%, quasi il doppio di ogni formazione concorrente. 7 commentatori, analisti, potenti ed intellettuali su 10, più o meno decisamente o tiepidamente, lo sostengono o lo considerano il meno peggio, il gruppo più moderato, responsabile, realista nelle condizioni date di scelta interna ed internazionale per l’Italia. Malgrado ciò, cresce l’agonia, l’ansia e la frustrazione della sinistra italiana. Proprio perché sa che il Pd non è di sinistra. Non lo è per la componente blariana di Renzi, né per l’apparato tradizionale, rappresentativo del lavoro garantito, pubblico come delle imprese e delle banche di area, impegnato, e disposto a tutto nello scopo, a combattere i suoi nemici personali. Così a vent’anni dalla fine del Pci, la sinistra non solo non ha trovato il modo per realizzare i suoi obiettivi, ma non sa nemmeno quali essi siano.
Per dare voce alla sinistra, in genere i media scelgono alcune maschere o topoi: i leader del sindacato rosso Cgil, e negli ultimi tempi quelli della sua categoria più di sinistra, la Fiom; oppure i capi delle fazioni assimilabili ai più nostalgici del Pci o all’estremismo a sinistra del Pci. Tutti costoro sono paladini dei meno abbienti, del lavoro dipendente e della difesa dei luoghi di lavoro, vale a dire l’industria. Pur non considerando sufficienti né il welfare attuale, né i risultati della contrattazione, da cui dipendono i livelli medi di salari e pensioni, difendono entrambi dai tagli della spesa sociale. Pur non ipotizzando più la presa del potere della produzione da parte degli operai, difendono le fabbriche, vedendo nel potere finanziario un nemico peggiore dell’avversario di sempre, il produttore capitalista. Qui però casca l’asino.
Tutti questi leader ed il loro seguito hanno interiorizzato i contenuti delle battaglie antigerarchiche, legalitarie ed ambientali, accolte solo tatticamente negli anni ’60-’70 dalla sinistra tradizionale. Le battaglie ambientali sono riuscite a marchiare profondamente nell’opinione delle masse più povere, di destra come di sinistra, interi settori economici, i più grandi e pervasivi, cioè i più industriali. Ugualmente quelle legalitarie sono riuscite a far identificare la grande economia, come la grande burocrazia, insita nell’intervento pubblico, come grandi alibi per mafie e corrutele. La difesa della voce isolata, della minoranza, dell’antagonismo sociale chiama poi tutti questi leader ad un desiderio inespresso di democrazia diretta. La democrazia diretta, che un tempo il Pci avrebbe condannato come egoismo individuale piccoloborghese, suona come il contrario della rappresentanza collettiva e di classe. È contraria per sua natura all’organizzazione dei corpi intermedi e delle forze sociali.
Né i leader di sinistra se la sentono, come avrebbero fatto un tempo, di rivendicare l’importanza maggiore del lavoratore, produttore di reddito, a fronte dei rentier o dei ceti improduttivi. La retorica della difesa degli esclusi gli si è ritorta contro. Non è più il puro che epura, ma il più escluso che esclude. Se poi guarda allo scenario internazionale, all’homme de gauche cadono le braccia. Gli europei sono l’8% della popolazione mondiale, producono un quarto dei 70 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari che costituiscono la ricchezza del globo e si consumano il 25% della sanità e delle pensioni del welfare terracqueo. Può la sinistra difendere una disuguaglianza simile? Deve farlo, se vuole rimanere al suo posto di paladina dei più poveri europei. Non riesce a farlo del tutto, però, proprio per la sua storia, fortemente terzomondista. I nuovi popoli, accrescono ogni anno la propria fetta di ricchezza. Assaltano il primato delle percentuali europee. Erodono velocissimamente quella della popolazione, ma la sinistra ha fatto sue le battaglie dell’aborto (16 milioni di nati in meno) e dell’immigrazione (5% degli italiani oggi).
I nuovi popoli erodono rapidamente produzione e Pil europei, con dirigismo autoritario e capitalismo selvaggio, che i sinistri non condannano proprio come non vedeno le mafie, le illegalità, l’evasione fiscale imperanti tra 30 milioni di immigrati in Europa. Malgrado la lentezza con cui i nuovi popoli espandono il welfare; nondimeno la loro crescita mette sotto minaccia il nostro, "linea maginot" della sinistra. I welfare europeo ed italiano pesavano il 26% dei reciproci Pil (€11,5 e 2,2 trilioni). La spesa sanitaria procapite di $3mila dollari in Italia, di più di $8000 negli Usa, precipitava ai mille nel mondo. Fino al 2009; dopo è stata caduta libera ovunque. La sinistra vede illuminarsi tre volte di seguito il refrain sinistro di un numero - 15 milioni: i mai nati, tanti, i pensionati, troppi, i giovani, troppo pochi.
Allora i sinistri vanno per vie traverse. Enfatizzano i guai dei 2 milioni di precari, le cui difficoltà stanno nella difesa ad oltranza di 8 milioni di lavoratori garantiti. Difendono l’esigua minoranza di gay e lesbiche, il cui desiderio di famiglia è schiacciato dall’aumento massivo di rinunce a metter su famiglia. Fanno dei magistrati i propri eroi, da Violante a Caselli, Di Pietro, De Magistris, Ingroja. Li scambiano per poveri tribuni plebis quando sono ricchi, burocrati, azzeccagarbugli, nicchia corporativa cresciuta tra le contraddizioni della parte più arretrata, meno industrializzata e affatto europea del paese. L’ex girotondino prof Ginsborg denuncia che i segretari di Rifondazione e dei Verdi, Ferrero e la Federazione della Sinistra, i Pardo confluiti nell’Idv di Di Pietro hanno occupato le liste del movimento arancione di Rivoluzione Civile di Ingroia, scacciandone i puri giustizialisti. La sinistra però deve pur esistere; magari nascosta dietro le ambigue figure del magistrato e di Vendola, oppure impacciata dietro il dirigismo debole del capitalismo delle regioni rosse. Senza comunismo, senza produttori, senza operai, quasi senza voce ora che i suoi giornali muiono uno dopo l’altro per consunzione spontanea. Deve pur esistere; non può ammettere che la vera sinistra sia la Lega, o la destra sociale o la voglia di Iri di Tremonti. Il prof Ginsborg, inglese ma docente a Firenze, non è operaio, né (in senso letterale) produttore, né comunista. Accanto a lui come lui, protestano la Guzzanti, Freccero, Viale. Poi spunta anche Cremaschi. Appunto, non si sa perché ma la sinistra deve esserci.
di Giuseppe Mele