La serie infinita di genuflessioni arancioni

sabato 5 gennaio 2013


È tutto un bussar di porte nel mondo arancione di Ingroia e De Magistris. Avendo evidentemente capito che, marciando da soli, la potenziale percentuale di consensi potrebbe rivelarsi non così gratificante, è tutto un pregare sotto il cappio e le manette. Quello che ha le ginocchia più segnate dalle numerose genuflessioni è indubbiamente Antonio Di Pietro il quale, considerata la esigua combriccola rimasta ai suoi ordini, ha iniziato col bussare alla porta del convento di don Bersani il quale ha fatto finta di nulla e quell'uscio, per l'immobiliarista, è rimasto inesorabilmente chiuso.

 Il molisano ha allora provato con il Movimento 5 Stelle, ma Grillo ha quasi sbeffeggiato il postulante: niente da fare neppure dalle parti di Genova. Oramai in disuso (politicamente e non solo), l'ex pm si è presentato strisciando dalguatemaltecoper il quale, a sua volta, ogni potenziale voto vale più di una boccata d'aria per un asmatico. Laconditio sine qua nonimposta (e naturalmente accettata dall'interessato, non poteva essere altrimenti) al trattorista molisano è stata quella cancellare dalla scena nome, simbolo, gabbiano e quant'altro che potesse ricordare anche lontanamente l'Italia dei Livori.

Ma anche lo stesso Ingroia, nel frattempo, è andato a bussare di qua e di là. Ha  anch'egli "aperto la sua porta" a Grillo il quale lo ha invitato a richiuderla; ha inviato “segnali” al don Bersani di cui sopra (il quale gli ha fatto rispondere direttamente da Pietro Grasso). Insomma uno spettacolo pietoso che dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che non è sempre vero che inneggiare manette per chiunque significhi necessariamente ottenere un successo elettorale e il pm palermitano (in aspettativa) ne è più che consapevole. La sua “Rivoluzione civile” rischia di avere già in partenza le gambe assai corte, quasi come le bugie. 

In chiusura ci permettiamo di rivolgere - e non siamo i primi - un modesto invito all'Ingroia: si tenga ben stretto il suo Travaglio e, se vuole, continui ad “imbeccarlo” per qualche ficcante editoriale. Ma lasci perdere il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo: il livello di quell'emblema, ci si consenta, è davvero molto più in alto e non merita di certo di essere utilizzato dal primo che capita. Dimenticavo il solito quesito: ma chi ha ucciso il dottor Borsellino?


di Gianluca Perricone