La vera storia del carabiniere omofobico

venerdì 28 dicembre 2012


Comportamenti un tempo considerati fuori dalla comune morale oggi vengono imposti, e la gente è obbligata ad accettarli. La pornografia assurge a forma artistica d’evasione, la prostituzione dei trans diventa cosa buona e giusta se paragonata alle lucciole, e la lobby gay vede trame eterosessuali ovunque, anche dove c’è un semplice appello al buongusto. Ma capita che in Italia ancora resista il reato di atti osceni, per scongiurare vari atti contrari alla pubblica decenza, ma i fatti dimostrano che le forze dell’ordine possono contestarlo solo agli eterosessuali. «Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni», dice la legge. Così, quando alcune signore segnalano ad un appuntato dei Carabinieri che due ragazze si sono lanciate in effusioni nella stazione ferroviaria di Ostia, il militare pensa bene d’interrompere il groviglio d’amorosi sensi. L’avrebbe fatto anche se si fosse trattato di due eterosessuali, di uomo e donna rapiti dai sensi.

La definizione di atto osceno contenuta nel codice fotografa perfettamente l’accaduto: «Si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore». È certo un reato che presenta una forte componente soggettiva. «L’intera tratta ferroviaria Roma-Ostia - spiega l’avvocato Luciano Randazzo - è presidiata da militari dell’Arma dei Carabinieri come dell’Esercito. Il motivo di tanta attenzione è facilmente deducibile, la ferrovia serve quartieri periferici ritenuti a rischio. Così questo servizio assicura la sicurezza ai viaggiatori: per la maggior parte pendolari e donne anziane. L’appuntato dei Carabinieri che sto difendendo è stato invitato da alcune donne anziane a far cessare le effusioni amorose tra due ragazze. Ora l’Arma teme che, tutelando l’appuntato, potrebbe attirarsi gli strali mediatici delle potenti associazioni omosessuali. È evidente che, accusare un carabiniere d’omofobia, rappresenti un facile viatico di pubblicità per tantissima gente, soprattutto alla vigilia delle elezioni. Il suo trasferimento, e per motivi di sicurezza, nasconde debolmente una verità roboante: l’Arma ha dato il primo contentino alle associazioni. Poi l’appuntato non è ancora formalmente indagato, e non si capisce il reato per cui dovrebbe risultare indagato».

Il carabiniere ha 38 anni, è sposato ed è padre di due figli: il profilo classico dell’uomo vulnerabile, con famiglia quindi facilmente colpibile da eventuali gruppi organizzati. «Non ho avuto nessun atteggiamento omofobo nei confronti di quella coppia di donne che si stavano scambiando effusioni in pubblico, ho agito come se fosse etero», spiega il carabiniere. Nella denuncia delle associazioni gay e nell’esposto presentato alla polizia dalle due donne si parla di offese, e che il carabiniere avrebbe «minacciato di denunciarle per atti osceni in luogo pubblico». «La testimonianza dei tre militari dell’esercito smentisce la versione delle donne - ribatte l’avvocato Randazzo -. Il carabiniere ha solo chiesto i documenti per identificarle, così come prevede il regolamento nei casi di ingiurie a pubblico ufficiale. Poi rientra tra i compiti di polizia identificare chi transita nelle stazioni ferroviarie. Il comportamento del carabiniere è stato evidentemente equivocato».


di Ruggiero Capone