L'anti-americanismo Hollywoodiano

venerdì 28 dicembre 2012


Il teorema è che Bin Laden sia stato beccato grazie alle torture a Guantanamo e nelle prigioni segrete della Cia. Ma per dimostrarlo si tace tutta la storia di Shakeel Afridi, il medico della ong “Save the children” che collaborò all’identificazione dei figli e dei nipotini di Bin Laden nel compound di Abbottabad. Evidentemente Katheryne Bigelow, la regista, seceneggiatrice e ideologa del film Zero dark thirty (molto bello, dura due ore e mezza e lo vedremo in Italia dal 7 febbraio, data scelta dalla Universal che lo distribuisce) non ha letto un intero numero di Newsweek, compresa la copertina, dedicato ai retroscena del colpo del 1 maggio 2011, mentre la sua opera vuole a tutti i costi appartenere alla categoria dello spirito dell’anti-americanismo ideologico, più o meno consapevole. Eppure la versione che farebbe vergognare meno gli Usa era stata avallata al settimanale in questione proprio dal portavoce dei talebani dell’epoca, Ehsanullah Ehsan, secondo cui, «Osama bin Laden era il nostro eroe, e Shakeel ha aiutato gli Stati Uniti ad ucciderlo. Egli è oggi il nostro nemico ed è wajib-ul-qatal». Cioè degno di essere ammazzato.

Peraltro va detto che il film era stato concepito ben prima del blitz di Abbottabad e doveva intitolarsi Kill bin Laden ed era stato concepito proprio in maniera ideologica a tema contro i metodi americani di lotta al terrorismo islamico. Poi sono arrivati i vari libri di memorie di agenti Cia e di uno dei membri dei Navy Seals che parteciparono all’azione e a quel punto la strada per un film con la spina dorsale intrisa di ambiguità e complottismo era spianata. Eppure la storia della dritta su Bin Laden, tutta legata a una campagna di vaccinazione anti-polio (che è costata svariati mesi di carcere al dottor Afridi e la cacciata dal Pakistan alla ong per cui lavorava nonchè la attuale difficoltà a vaccinare chicchessia nelle zone tribali tra Afghanistan e Pakistan), è ormai nota a tutti. Afridi in realtà avrebbe dato un contributo solo indiretto alla cattura di bin Laden: gli fu infatti chiesto di andare a vaccinare anche i bambini del famoso compound contro la polio così come tutti gli altri, e lui si presento a bussare ingenuamente, senza sapere chi ci fosse all’interno, a casa bin Laden.

Non gli rispose mai nessuno. Due anni prima, la Cia aveva saputo, che Afridi aveva già somministrato il primo richiamo anti-polio e anti-epatite a sette bambini che abitavano nel compound. Per cui ce lo rimandarono sperando di avere il dna che confermasse la presenza dello sceicco. Quella volta i bambini non furono sottoposti di nuovo a vaccino, perché probabilmente qualcuno aveva mangiato la foglia. La Cia voleva avere la prova che il dna fosse quello dei bin Laden, di cui aveva già numerosi reperti. Il 21 aprile, dieci giorni prima del blitz, Afridi e la sua assistente Amna si recarono di nuovo al compound ma nessuno ripose. Allora si recarono in una casa li vicina in cui c’era un vecchio di 80 anni che conosceva il segretario e messaggero di Bin Laden, il noto Tariq Khan anche lui abitante con i suoi figli piccoli nel compound. Il vecchio si convinse a dare al dottor Afridi il cellulare di Tariq. E così lui lo chiamò. Pare che Tariq abbia risposto dicendo di essere lontano dalla casa e che una volta lì avrebbe chiamato lui per la vaccinazione. Invece non chiamò mai.

Ma quella telefonata diede la possibilità alla Cia di sapere il numero della persona,attraverso le intercettazioni Echelon sulla zona da tempo monitorata. Dopodichè, pur senza il dna di bin Laden, ebbero la ragionevole certezza della sua presenza in loco. E dieci giorni dopo diedero il via al blitz con cui Obama si è assicurato almeno un buon 50% della propria rielezione. La Bigelow, se proprio vuole continuare a cimentarsi sui misteri dell’America del dopo 11 settembre, potrebbe invece concentrarsi sulla storia delle menzogne del Dipartimento di stato a proposito dell’assalto all’ambasciata di Bengasi in cui venne ucciso l’ambasciatore in Libia, Christopher Stevens. Altro che film su Maometto e reazioni popolari, la storiaccia dello scorso 11 settembre è una vicenda di allarmi Cia sottovalutati e di notizie nascoste almeno sin dopo la rielezione di Obama. Che se qualcuno dovesse parlare su quella “cover up” rischierebbe persino l’impeachment. Rievocare Guantanamo per un film sulla cattura di Osama e i suoi presunti retroscena è quasi come sparare sulla Croce Rossa. Mettere il naso sull’episodio dell’ambasciata Usa di Bengasi presuppone invece ben maggiore coraggio e porrebbe qualsiasi pellicola ad alto rischio di censura.


di Dimitri Buffa