In Rai seicento dipendenti in uscita

sabato 22 dicembre 2012


In seicento tra giornalisti, dirigenti, tecnici, impiegati, registi si apprestano a lasciare l’azienda di viale Mazzini. Lo faranno su base volontaria grazie ad un vecchio strumento, lo “scivolo”, utilizzato però non in così larga scala nella lunga storia della radiotelevisione italiana. Nelle aule dei Tribunali ci sono anche duemila cause da risolvere. È il primo consistente sfoltimento operato dalla coppia Annamaria Tarantola-Luigi Gubitosi a sei mesi dal loro insediamento con l’avallo del Consiglio di amministrazione. 

L’operazione costerà all’incirca 53 milioni quanti inseriti in un Fondo speciale per gli incentivi all’esodo del personale. La Rai presenterà anche nel 2013 conti in rosso. Una cifra che si aggira sui 36 milioni di euro a fronte dei 200 milioni con i quali si è chiuso il bilancio del 2012. Non basterà, però, recuperare sulla pubblicità, i cui ricavi dovrebbero salire dal record negativo di 740 milioni al 31 dicembre agli 840 dell’anno prossimo.

Il quadro economico non brillante necessita di un’ulteriore sterzata. Verrà con il piano industriale che il direttore generale sta mettendo a punto e che presenterà al consiglio d’amministrazione e ai dipendenti a metà gennaio. A meno che le vicende elettorali (ad un mese circa dalle politiche e dalle Regionali in Lombardia, Lazio e Molise) non inducano i vertici di viale Mazzini a spostare l’impatto ad una data meno piena di tensioni e terminata la fase della “par condicio” imposta per legge.

Dati economici e politica non vanno d’accordo soprattutto quando ci sono tagli da effettuare, promozioni da respingere, appalti da non poter più assicurare alle tante imprese che ruotano attorno a “Mamma Rai” e al mondo degli spettacoli, limitando così contratti di favore per artisti, conduttrici, consulenti, musicisti di una preferita area culturale. Per ora il duo Tarantola-Gubitosi, benedetto da Palazzo Chigi e dal Tesoro, ha stretto le leve del potere nominando personaggi (alla Sipra, al settore commerciale, alle relazione esterne, alla Rete due, alla Rete tre) di fiducia, ha cambiato il vertice della Rete Ammiraglia (Mario Orfeo direttore del Tg1 e Giancarlo Leone capo della Rete) e quando fra poco Corradino Mineo andrà in pensione opererà un altro giro di valzer sulla base degli orientamenti che saranno usciti dalla competizione elettorale.

In meno di venti anni in Rai si sono succeduti 13 Presidenti, 13 direttori generali, una miriade di direttori di giornali radio e telegiornali, una pletora di vicedirettori, una lunga fila di dirigenti aziendali. L’unica cosa di cui non si parla è la ristrutturazione organizzativa della Rai, ancora ferma al sistema tripartito per aree politico-culturali (mondo cattolico, ambienti socialisti, ex mondo comunista) datato 1978-1987 quando Biagio Agnes per la dc, Antonio Tatò per il Pci, Enrico Manca per il Psi, Clemente Mastella inviato di Ciriaco De Mita decisero che la Rai doveva diventare un’azienda divisa in tre: Raiuno, Raidue, Raitre.

Ad ogni partito la sua sfera d’influenza anche per le altre fette d’azienda: Radio, Testata per l’informazione regionale, Sport, Sipra, Raiway per la rete di collegamento. Con tutto quello che segue e comporta. Con la pubblicità in forte calo, il canone quasi fermo a causa della forte evasione e i costi che crescono per la Rai non c’è  futuro (pur con le iniezioni di Benigni, Sanremo, il digitale del Tg2) senza un piano industriale che riveda i punti fondamentali della permanenza del servizio pubblico. La convenzione con lo Stato si avvia alla scadenza.


di Sergio Menicucci