venerdì 21 dicembre 2012
Come è noto, Bersani è andato in Europa a farsi benedire da alcuni alti papaveri comunitari, facendo la figura del questuante. Il suo evidente intento è quello di rassicurare i nostri partner in merito ad un sostanziale mantenimento della linea del rigore, seppur promettendo alla sua sinistra qualche correzione di rotta. In questo modo lo scaltro leader del Pd pensa di poter spendere in Italia la carta di un europeismo responsabile come antidoto nei confronti di qualunque avventurismo demagogico. Soprattutto egli ritiene, accreditandosi come surrogato progressista di Mario Monti, di riuscire a convincere gli scettici e gli indecisi che questa volta l’alleanza con la componente antagonista della sua area politica non provocherà lo sfacelo del 2007.
La ripetizione di una simile esperienza sarebbe, in una fase tanto difficile per il Paese, assolutamente catastrofica. Ma a ben guardare le cose non sono molto diverse rispetto a quel funesto periodo. Proprio come allora, gli eventuali problemi per Bersani possono nascere da una infelice scelta delle alleanze, fondata essenzialmente dalla volontà di vincere le elezioni, costi quel che costi. Per questo motivo, onde mantenere una certa compattezza di governo, il segretario del Pd ha tratto dal suo cilindro la ridicola carta d’intenti, con la quale esorcizzare ogni forma di futuro dissenso. Quindi, emulando il grande Paracelso, il buon Bersani cercherà di realizzare la sua alchimia politica mescolando in uno stesso crogiolo il rigore europeo, la sua credibilità basata su un usato sicuro e il contributo elettorale, sicuramente non a prezzi di saldo, della sinistra radicale.
In particolare, oltre al partito di Vendola, c’è una forte componente pure dentro il Pd che si aspetta di restare in Europa e nell’euro inasprendo ulteriormente la ricetta politica che, in verità, un po’ tutti hanno applicato negli ultimi decenni: più stato, più spesa e più tasse, magari facendo finta di colpire solo i ricchi. Ma proprio se non si vuole continuare a raccontare la favola della botte piena e della moglie ubriaca, Bersani non può pensare di illudere chi spera di avere un sistema pubblico che dia maggior protezione, creando magari altri milioni di posti di lavoro inventati, restando dentro i vincoli finanziari dell’euro.
Da questo punto di vista, o si dichiara default, si torna alla lira e si riprende la vecchia, catastrofica propensione inflazionistica di una politica che distribuisce a piene mani carta straccia e povertà, oppure si spiega al popolo che sul piano dell’intervento pubblico nel suo complesso il sistema è già andato oltre ogni ragionevole limite, se intendiamo restare all’interno della moneta unica. Tertium non datur, caro Bersani.
di Claudio Romiti