Condanna per la malagiustizia italiana

sabato 15 dicembre 2012


Se la politica italiana con le proprie balle ha creato casi grotteschi come quelli della “nipote di Mubarak”, l’iperattivismo carrierista dei pm in perenne lotta conto qualcosa e qualcuno non ha fatto molto meglio: ha tenuto nove anni in carcere una povera disgraziata di donna colombiana spacciandola come “la nipote di Pablo Escobar”. Tutte queste cose e molte altre ancora vengono raccontate nel libro Condannati preventivi di Annalisa Chirico. D’altronde la giustizia italiana, “se la conosci la eviti”. Come l’Aids. Sia nel versante penale sia in quello civile o amministrativo. Come è noto il “problema”, che nessuno ha il coraggio di affrontare, rende l’Italia un paese sottosviluppato in cui è difficile attrarre investimenti dall’estero. Oltre che il soggetto statale considerato come “il pluripregiudicato d’Europa”. Come non si stancano di ripetere i Radicali italiani che da più di un anno propugnano l’amnistia per la Repubblica come prima cosa da fare per tornare nella legalità. Adesso c’è anche questo libro, Condannati preventivi: una serie di storie di ordinaria follia giudiziaria, e di abuso della carcerazione preventiva, raccolte da una giornalista che è anche una militante radicale, Annalisa Chirico. Un vero e proprio prontuario contro i forcaioli di regime che intasano le tv pubbliche e private del Bel Paese. 

La Chirico affronta una serie di casi scomodi per una pubblica opinione che si è assuefatta al principio di “colpevolezza presunta”: quello di Alfonso Papa, primo deputato Pdl a finire in prigione a furor di popolo, salvo oggi constatare che l’inchiesta ai suoi danni si sta sciogliendo come neve al sole, ma l’interessato si è fatto un anno a Poggioreale, quello di Lele Mora, odiatissimo presunto reclutatore di escort per  le “cene eleganti” di Arcore, quello di Salvatore Scattone, un errore giudiziario passato in giudicato tra evocazioni medianiche e intrallazzi dei e sui testimoni, quello di Ottaviano del Turco, uomo che si è visto distruggere la propria carriera politica oltre che la propria vita, sulla parola di un industriale della sanità presunto pentito di avere corrotto i gangli della regione Abruzzo. Tutte persone che se uno ha come unica lettura La Repubblica o Il Fatto quotidiano, pensa che abbiano meritato le inutilmente lunghe carcerazioni preventive che hanno subito. E che invece probabilmente presto o tardi costeranno allo stato italiano altri risarcimenti da ingiusta detenzione e (perchè no?) altre condanne in Europa per l’abuso della custodia cautelare. Di tutto questo si è discusso giovedì sera anche alla Camera, quando il libro suddetto è stato presentato da garantisti come Marco Pannella e come il  presidente delle Camere penali italiane, Valerio Spigarelli. Nel libro della Chirico si parla anche di altri casi meno noti, veri e propri errori giudiziari indotti, come quello della signora Elisabeth Gaviria Rojas, donna di un narcotrafficante che in realtà faceva il lavoro sporco per i Ros, cioè l’infiltrato nel traffico di cocaina. La storia è parallela a quella che è costata sinora 14 anni di carcere in primo grado all’ex comandante del corpo speciale, Giampaolo Ganzer, vicenda non ben chiarita di consegne controllate e di trafficanti lasciati liberi di spacciare in cambio di soffiate. La donna aveva l’unico torto di essere stata aiutata a curarsi il tumore all’utero proprio dal narcotrafficante con cui si accompagnava e di cui ignorava gli affari illeciti e la  doppia vita. 

Ebbene una volta fermati entrambi in Spagna lui fa cadere su di lei le proprie colpe e la donna, che accetta in maniera poco avveduta di venire estradata in Italia, da quel momento dovrà attendere 13 anni (e il provvidenziale interessamento professionale di due avvocati radicali, Giandomenico Caiazza e Giuseppe Rossodivita) prima di venire riconosciuta innocente. Nove di questi tredici anni se li farà in carcere preventivo, subendo anche una condanna in primo grado. Un caso veramente analogo a quello di Enzo Tortora. Uno di quei frutti che solo la marcia giustizia all’italiana sa produrre. E per i quali nessun magistrato pagherà mai, perché in Italia chiedere la responsabilità civile dei giudici è considerata lesa maestà.


di Dimitri Buffa