giovedì 13 dicembre 2012
Forza spread! Lo slogan anti-Silvio ricorda da vicino il grido demenziale di “Forza Etna”, da parte di alcuni esagitati, tifosi di un mord ferocemente anti-sud, nell’indimenticabile partita nazionale tra campanili. A gridare “al lupo” (ovvero: il ritorno di Silvio ci rovinerà, tra rialzi di spread e borse) è la corazzata della stampa-tv di sinistra, che invoca (stile suicida) l’ira degli investitori internazionali sulla ricandidatura a premier di Berlusconi. Così facendo, però, Repubblica & Co provocano due tremendi effetti indesiderati, esattamente come li avrebbe causati la scissione tra nord e sud, invocata dalla versione più radicale della prima Lega: se quest’ultima strategia avesse avuto successo, infatti, chi avrebbe comprato, in Italia, i prodotti della Padania? Per riconoscere l’assurdità di quella rivendicazione politica, bastava, semplicemente, ragionare sui livelli di interscambio commerciale allora esistenti tra le due macro aeree regionali del nostro paese.
La prima martellata sulle dita, di chi vuole crocifiggere il Cavaliere, è rappresentata dallo scenario seguente: il terrorismo da risalita dello spread è un favoloso assist per i poteri forti della finanza mondiale e europea, che vogliono la continuità del governo Monti, anche dopo le prossime elezioni legislative, per garantire la stabilità dell’euro. Secondo colpo sull’alluce del martellatore di sinistra: la “discesa in campo” di Monti obbliga Bersani a fare un passo forzato in avanti, per non vedere ridotto sensibilmente a un misero 20% un bacino elettorale potenziale, stimato dal Pd intorno al 32%. Bersani, quindi, si vedrà costretto a un indigesto matrimonio morganatico con la lista pro-Monti, da celebrare oltretutto “prima” delle elezioni, se vorrà afferrare in extremis il premio di maggioranza del “porcellum”. E qui, il Cavaliere ha sferrato il suo vero colpo di coda, prima di essere ibernato come dinosauro, facendo mancare l’appoggio del Pdl alle strampalate bozze di riforma elettorale, proposte dai soliti noti, in modo da dare una concreta possibilità al centrodestra di blocco al Senato, così come avvenne nel 2006 con Prodi.
Ecco chiaramente spiegato il “vade retro” di Bersani a Monti, la cui lista eventuale danneggerebbe proprio il Pd, dato come sicuro vincitore dopo febbraio. Infatti, il Prof. si tirerebbe dietro proprio quel centro moderato, al quale strizzano l’occhio un po’ tutti, lasciando al Pd solo l’area “rosa”, che ruota attorno al vecchio sodalizio tra brontosauri del Pci ed ex sinistra democristiana, mentre Vendola farebbe man bassa di consensi tra gli scontenti della sinistra “rossa”. Con il duplice effetto negativo (nel caso di una candidatura esplicita di Monti), per Bersani, di vedersi costretto - come si è appena accennato - a dover fare accordi di coalizione con i montiani, pur di vincere la lotteria del premio di maggioranza alla Camera, mettendosi contestualmente al collo il nodo scorsoio di un probabilissimo stallo al Senato, grazie al blocco prevedibile esercitato dalle opposizioni coalizzate di Vendola-Grillo-Lega-Pdl, nettamente contrarie, per diverse e talora opposte ragioni, alla prosecuzione delle politiche montiane, già favorevoli al mantenimento dell’euro e al rispetto degli accordi con l’Europa.
Una piccola malignità: quanto denaro investiranno i “poteri forti” (vedi recenti elezioni in Grecia) per impedire alle forze anti-sistema (Lega, Grillo, Sel e, in parte, Berlusconi) di vincere le elezioni in Italia? Cari concittadini, votate in massa, per cortesia, protestando contro tutti coloro che ci hanno resi poveri, con questa “austerity”, buona soltanto ad ingrassare gli attivi nelle bilance dei pagamenti dei paesi economicamente privilegiati (quelli, tanto per capirci, che hanno operato il cambio alla pari tra le rispettive monete nazionali e l’euro). La verità, però, è un’altra: ai mercati interessa solo quanto accadrà “dopo” febbraio, quando sarà chiaro a tutti con quale governo andremo ad affrontare i rigori finanziari di Bruxelles. A noi, invece, interessa fin da subito chiarire a tutte le Cancellerie che non accetteremo mai di essere “eterodiretti”, proprio da quei poteri forti che ci hanno portato al disastro attuale, grazie alle loro gigantesche bolle finanziarie, originate da Wall Street e dintorni.
Occorre “gridare”, e non soltanto “dire” educatamente, che la nostra economia reale muore a causa delle banche che, pur di non fallire, sono pronte a uccidere la gallina dalle uova d’oro: il lavoro di milioni di uomini e donne che produce la vera ricchezza nazionale. Mille miliardi di euro se ne sono già andati, solo per garantire gli istituti di credito europei che i titoli dei debiti sovrani non saranno svalutati, costringendo il contribuente italiano, greco e spagnolo a pagare centinaia di miliardi di euro all’anno per interessi sui debiti nazionali! Ora, c’è bisogno di un uomo “forte” (l’esatto opposto di quel cavallo di Troia della finanza mondiale, rappresentato dal dimissionario, attuale esecutivo dei “tecnici”), che dica a chiare lettere a Germania, Francia, Olanda, etc., che l’Italia non ci sta, fino a mettere sul tavolo della trattativa a Bruxelles la minaccia di un nostro default.
Tanto, se volassimo in frantumi noi, “loro” farebbero la stessa fine in men che non si dica, pagando i costi della evaporazione di quella moneta artificiale che è l’euro, il cui folle cambio è servito solo a dimezzare il potere di acquisto della stragrande maggioranza di noi italiani. Quell’uomo forte dovrebbe dire, chiaro e netto a tutti, mettendo sul piatto la “spada di Brenno” del nostro fallimento (e, quindi, del loro), che vogliamo far dimagrire proprio quelle banche, detentrici della maggior parte del nostro debito sovrano, obbligandole a farci uno “sconto” serio, svalutando almeno del 30% i titoli in loro possesso, in modo da farci respirare sui costi degli interessi e da impiegare i risparmi conseguenti in attività produttive e in investimenti pubblici.
Poi, nessuna illusione: la crescita ce la dobbiamo costruire da soli. Per questo, occorrerà dare spazio alle attività produttive vere, quelle che hanno bisogno di operai e di artigiani qualificati, gettando a mare le attuali fabbriche di diplomi universitari, che non stanno in piedi, di fronte all’impatto di una globalizzazione che premia solo e soltanto chi mantiene un vantaggio tecnologico, vendendo prodotti ad alto valore aggiunto di know-how. Convinciamo i nostri giovani che un ottimo diploma professionale (che dia risposta positiva al settore dell’offerta di lavoro attuale) è molto più vantaggioso di un parcheggio di almeno un lustro nelle non concorrenziali università italiane! A meno che non siate figli e nipoti di Monti-Fornero-Martone e possiate iscrivervi alla Bocconi (ma anche quest’ultima, vedrete, diventerà una fabbrica di disoccupati di lusso), o diventare professori ordinari da ragazzini. Chi si fa avanti per dire che noi italiani ce le... abbiamo sotto? Occorre spiegare che cosa?
di Maurizio Bonanni