Gli untori della spesa pubblica impazzita

martedì 20 novembre 2012


Una superstizione nasce e si sviluppa quando l’uomo, incapace di comprendere razionalmente un fenomeno, ha bisogno di fabbricarsi una spiegazione su misura per tacitare le sue paure e le sue ansie esistenziali. Così, nel corso della epidemia di peste che colpì l’Europa intorno al 1630, si trovò nell’untore il capro espiatorio a cui attribuire la responsabilità di quella spaventosa moria. Allo stesso modo oggigiorno, alle prese con una devastante crisi economica e finanziaria, la maggioranza degli individui, immersi in una complessità che non facilita di certo l’analisi, trovano alcuni facili bersagli sui quali sfogare rabbia ed inquietudine. 

Aiutati in questo da tanti falsi profeti in circolazione, costoro si fanno facilmente attrarre da un certo mainstream mediatico fondato su emerite sciocchezze, attribuendo la colpa dei nostri guai alle banche, agli speculatori senza scrupoli, agli evasori ed ai politici che rubano. In tal modo si ricrea la stessa dinamica mentale della caccia all’untore, ovvero il nemico pubblico da combattere la cui sconfitta e distruzione rappresenta la salvezza per l’intera collettività. Dunque, anzichè affrontare una difficile e faticosa opera di valutazione sui veri nodi sistemici dell’attuale situazione, molti pseudo operatori dell’informazione reputano più comodo imbonire il popolo con tesi e spiegazioni a dir poco surreali. E proprio su questo piano si pone una signora, tal Nunzia Penelope - giornalista che mi dicono collabori con Il Foglio di Giuliano Ferrara - la quale è molto presente in questi giorni in alcuni seguiti talk di approfondimento politico. Autrice di un libro contro la corruzione e l’evasione fiscale, costei porta avanti con una certa veemenza alcune posizioni di facile presa sugli sprovveduti, ma totalmente infondate sul piano della sostanza. In pratica, feroce sostenitrice di una patrimoniale col botto (proposta che sembra oramai attrarre di tutti gli schieramenti politici), la nostra Penelope ritiene che l’attuale pressione fiscale sia troppo bassa per coprire i costi essenziali dello Stato. A suo parere infatti, così come lo ha ribadito recentemente nel pollaio televisivo di Santoro, che le tasse pagate dagli italiani siano insufficienti è dimostrato dai “tagli” che pure il governo Monti sarebbe stato costretto ad operare sulla scuola e la sanità pubblica. Ergo, ritiene l’arguta giornalista, dobbiamo inventarci altri sistemi per aumentare il blando carico tributario. 

Ora, pur rispettando il pensiero di chi si ostina a credere che gli asini possano volare, la signora Penelope sembra tralasciare alcuni dettagli non proprio marginali. In primis, con una pressione fiscale effettiva che viaggia intorno al 55% - misura da record del mondo -, corrispondente esattamente al livello della spesa pubblica complessiva, faccio fatica ad immaginare un suo ulteriore inasprimento, senza distruggere completamente ciò che resta della capacità produttiva di questo disgraziato paese. Inoltre, questa elevatissima percentuale di tasse tiene conto di una quota di evasione che l’Istat stima poco oltre il 20%. Ciò significa che, evasione o meno, nel complesso il sistema subisce un prelievo di risorse ad opera della mano pubblica che non ha eguali in Europa. Ebbene, mi risulta difficile credere che uno stato, il quale si mangia ben oltre metà del reddito nazionale, abbia bisogno di introdurre ulteriori patrimoniali per pagare gli stipendi ai medici ed agli insegnanti. Patrimoniali, nel caso alla signora Penelope fosse sfuggito, che già esistono sulla casa, sui conti correnti, sui depositi titoli e - in modo occulto - sulla tassazione dei capital gain quando agisce sui dividendi, in quanto va a colpire di fatto il valore patrimoniale dell’investimento. 

Per questo, senza alcuna acrimonia, consiglio alla nostra brillante cacciatrice di fantasmi fiscali, di rivolgere una parte della sua preziosa attenzione su ciò che sta realmente alla base di una fiscalità folle e di un indebitamento altrettanto pazzesco: una spesa pubblica impazzita che nessuno è finora riuscito, quanto meno, a contenere. 

Lì si che ne troverebbe untori, a iosa.


di Claudio Romiti