mercoledì 7 novembre 2012
Quaranta percento. È la quota preferita da Pupo Renzi. È il numero cui il sindaco fiorentino anela, reclama, pubblicizza, strilla. “Con me il Pd al 40%!”.
Pd o centrosinistra complessivamente inteso, a Renzi importa poco. L’essenziale è alzare l’asticella, urlare quaranta a destra e a manca, come se il solo invocarlo poi faccia sì che accada davvero. Renzi è fan delle profezie che si autoavverano, come Robert Merton e William Thomas, che avallerebbero a pieno titolo i proclami del sindaco toscano.
Va bene, allora si parta da questo benedetto quaranta percento. Diciamo subito che un 40% al solo Pd sembra un dato sovrastimato e che questa cifra sembra più essere la sommatoria di almeno due partiti, forse tre. E poi quali partiti? La presenza di Renzi è ingombrante, lo ha capito tutto il Partito Democratico, lo sa Bersani e lo sa bene Vendola, che ha teso più volte la mano all’attuale segretario nella comune lotta al pericolo renziano.
Con Renzi candidato premier, quale centrosinistra si formerebbe? E soprattutto quali sarebbero le preferenze del sindaco di Firenze? E chi, tra i partiti dell’eventuale centrosinistra, sopporterebbe la presenza di Renzi? Si consideri un rapporto Pd-Udc: il travaso di elettori dal Pd verso sinistra (a vantaggio di Vendola in particolare) potrebbe indebolire proprio un eventuale Renzi premier, costretto a trovare voti nell’area centrista. A quel punto, o riesce la prova di pescare al centro, oppure il 40% è lontano.
Uno scenario invivibile per Renzi, possibile per Bersani, ma solo se la sua leadership si confermasse come tanto forte da tenere a bada i partiti a sinistra. Per inciso, una coalizione del genere rinsalderebbe le sinistre italiane, ma porterebbe, stime alla mano, a poco più del 35%.
Non sembra esserci via di scampo: questo 40% non s’ha da fare, né ora, né mai, a meno di una incredibile salita nei sondaggi da parte del Pd, cosa però difficile dopo le primarie, quando i sogni dovranno diventare dura realtà e il candidato premier in pectore dovrà finalmente svelare le sue linee guida per il futuro. Quel dibattito che, fino ad ora, è stata la più dolente ed assente nota in casa democratica.
di Enrico Strina