sabato 3 novembre 2012
«Pino Rauti: l’unico fascista buono è il fascista morto». Lo scrive su Twitter Lalla (@DettaLalla), millecinquecento followers sul social network a 140 caratteri, commentando la scomparsa del fondatore del Movimento Sociale Italiano. Ritweet a distesa. Poi poco dopo, rincara: «Mejo un missino morto oggi che un missino vivo domani. Si è spento, sempre troppo tardi, Pino Rauti». E, per tanto per sottolineare il concetto, provvede a modificare la foto del profilo con un’immagine del cadavere di Mussolini appeso a testa in giù a piazzale Loreto.
È questa l’altra faccia delle commemorazioni che il web ha riservato ieri al defunto leader dell’estrema destra italiana. In mezzo all’abbottonato cordoglio degli avversari politici e all’elegia dei sostenitori, ci sono le macchie di un sedicente antifascismo militante che in occasione della morte di Rauti non esita a sfoderare verbalmente la peggiore violenza sempre condannata nel nemico fascista. «Rauti ha messo i piedi all’avanguardia (co’ 50 anni de ritardo però è ‘n inizio)» commenta Aniello Nazzaria (@aniello_nazaria). «Se ne va Pino Rauti. Uno che faceva compagnia ai vermi pure da vivo», twitta Umberto Romano, @Umb80, guadagnandosi in men che non si dica una quarantina di ritweet. «A tutti i fasci: #FF Pino Rauti» scrive invece Anime Salve (@Animesalve1), il un macabro calembour tra la tradizione twitteriane del Follow Friday e l’invito ai tutti i sostenitori di Rauti a seguire al più presto la sorte del loro beniamino. Ma a “tirare” di più è sicuramente la solita frase da film western riadattata alla bisogna. «L’unico fascista buono è quello morto. È così difficile?» si domanda, quasi incredulo, Domenico De Pascale (@nattydoctor).
È un lessico da Anni di Piombo che ritorna di prepotenza nell’era del digitale 2.0, la stessa che il piombo l’ha estromesso persino dai caratteri di stampa. C’è davvero poca differenza rispetto a slogan come «uccidere un fascista non è un reato», se qui ci si limita ad attendere soltanto la morte naturale di un nemico comunque da abbattere a tutti i costi. Ce n’è ancora meno tra simili festanti grida rabbiose e la retorica violenta di stampo fascista che proprio frasi come queste vorrebbero stigmatizzare.
Nonostante siano trascorsi trent’anni da quell’epoca in cui di politica si poteva anche morire, continua a serpeggiare un pericolosissimo odio ideologico che non conosce tregua neanche nella dipartita dell’avversario. E i social network, cartina al tornasole digitale della società in carne ed ossa, dimostrano che certe ferite dolorose non solo non si sono mai rimarginate, ma suppurano sotto la spinta di chi lavora per tenerle costantemente aperte.
di Luca Pautasso