Quella brutta idea di tornare alle lire

mercoledì 31 ottobre 2012


Nell’attuale bailamme della politica, che appare ancora più confuso di quello che caratterizzò il trapasso della Prima Repubblica, si nota un crescente ed irresponsabile richiamo alla pancia dei cittadini più sprovveduti, ad opera dei tanti mestatori in servizio attivo permanente. Tra politici di professione, avventurieri dell’ultima ora e telegiornalisti in cerca di facile consenso, tra cui Paragone, colpito sulla via di Damasco del collettivismo, si è scatenata una vera e propria gara a chi cavalca meglio le posizioni più demagogiche. Mi colpisce, in particolare, la sempre più esplicita condanna dell’euromoneta e il conseguente incitamento, più o meno esplicito, rivolto al popolo a premere per un ritorno alla vecchia liretta. Proprio su questo piano, il citato conduttore de L’Ultimaparola ha impostato molte puntate del suo programma, invitando tutta una serie di personaggi, tra cui un antico pupillo di Santoro come Paolo Barnard o un teorico della spesa pubblica al pari dell’economista Giulio Sapelli. Personaggi, questi ultimi, che tendono ad avvalorare presso la cittadinanza l’idea, molto balzana, secondo cui la ricchezza equivale alla quantità di moneta circolante.
Ergo, dato che la gabbia dell’euro ci impedisce di stampare banconote a piacimento, l’unica strada possibile per uscire dalla crisi consisterebbe in un necessario ritorno alla valuta nazionale. Al grido “ridateci la nostra sovranità”, il fronte di chi tifa spudoratamente per l’abbandono dell’attuale standard monetario vorrebbe convincere i più che i vantaggi di questa folle operazione risulterebbero ben superiori ai contraccolpi negativi, giudicati modesti. Ovviamente, proprio in ragione del progressivo impoverimento del Paese, suonando il piffero dell’anti-euro si ha buon gioco a scaricare sulla moneta unica molte delle frustrazioni e delle preoccupazioni delle persone comuni, trasformando lo stesso euro in un caprio espiatorio per i guai finanziari ed economici di un sistema che continua a voler spendere e distribuire risorse in deficit. 
Ciò che i teorici della succitata sovranità monetaria evitano di spiegare, sempre che ne abbiano cognizione, sono le inevitabili e catastrofiche conseguenze di una simile scelta. In particolare, all’interno di una economia che non cresce e con un sistema pubblico indebitato fino al collo, il ritorno alla vecchia liretta farebbe precipitare il Paese indietro di molti decenni, con una considerevole ed immediata perdita sul piano del risparmio accumulato, provocando tutta una serie di gravissime ed imprevedibili turbolenze sia sul lato dei cambi, sia su quello dell’inflazione. In sostanza, costretti a pagare in valuta pregiata energia e materie prime, il prevedibile deprezzamento della lira ci spingerebbe verso una verticale riduzione dei consumi, con le inevitabile consegunze del caso. Naturalmente (ed è per questo che molti arruffapopoli di professione vorrebbero affossare l’euro), riprendendo in mano la stampa di cartamoneta, i sostenitori del più grande partito italiano (quello trasversale basato sul deficit-spending) avrebbero modo di distribuire ulteriori, immense quote di povertà, sotto forma di titoli di credito e stipendi sempre più svalutati.

di Claudio Romiti