Le sirene neocentriste bersaglio del Cav

martedì 30 ottobre 2012


Nell’ultima vulcanica conferenza stampa di Berlusconi ci sono molte meno novità dal punto di vista politico di quante se ne siano volute intravedere. Innanzitutto, troviamo due conferme: la decisione di non ricandidarsi a premier. Che però non equivale ad un ritiro dalla vita politica, com’era già intuibile dalle parole di tre giorni prima con le quali rendeva nota la sua scelta. Anche il processo delle primarie “aperte” del Pdl sembra ormai non reversibile. Difficilmente, poi, si possono considerare novità politiche le critiche all’operato del governo Monti e l’attacco rivolto a Berlino per la politica economica di solo rigore imposta ai paesi eurodeboli. Nelle sue dichiarazioni degli ultimi mesi Berlusconi ha sempre oscillato tra lealtà al governo Monti e critiche anche minacciose al suo operato, rispecchiando le contrastanti pulsioni interne al Pdl.
Ieri il premier Monti ha sdrammatizzato le “minacce” di Berlusconi allo stesso tempo rispedendole al mittente con una sottile rasoiata. Senza voler alimentare la polemica, ha osservato infatti che «minacce di ritiro della fiducia a questo governo non possono essere fatte: non perché non ci possa essere ritirata la fiducia, ma perché non lo vivremmo come una minaccia», dal momento che non si può chiamare «minaccia qualcosa che a noi non toglierebbe niente». Come a ricordare: non abbiamo chiesto noi di governare, siamo stati chiamati, e sfiduciarci ora sarebbe un autogol, un danno per voi partiti, non per noi.
Difficile comprendere dove finisca lo sfogo per l’assurda sentenza di condanna ricevuta venerdì, accompagnata da a dir poco irrituali motivazioni “politiche”, e dove cominci, invece, la politica. Si vedrà nelle prossime settimane. Ma i toni sopra le righe nei confronti del governo Monti e della cancelliera Merkel hanno senz’altro a che fare sia con l’ennesimo tentativo di “farlo fuori” per via giudiziaria, sia con lo scollamento in atto tra il fondatore del Pdl e la sua classe dirigente, segretario Alfano compreso. Il Cav ha voluto evitare che il combinato disposto della sentenza dei giudici di Milano e della sua decisione di non ricandidarsi, con l’apertura al metodo delle primarie, potesse incoraggiare qualcuno, in primis nel suo partito ma ovviamente anche tra i suoi avversari, a credere che sia disposto a farsi eliminare dalla scena politica e quindi a muovere in tal senso, approfittando del suo senso di responsabilità.
Il passo indietro non significa affatto un via libera ad una linea acriticamente montiana del Pdl, nell’illusione di favorire l’alleanza con Casini. Oltre allo shock della sentenza, a Berlusconi non è senz’altro sfuggito che il suo passo indietro non ha affatto sortito gli effetti sperati sugli ipotetici intelocutori per il rassemblement dei “moderati”, su tutti Casini e Montezemolo. Anzi, entrambi hanno stretto ulteriormente la morsa sul Pdl: Casini confermando di voler proseguire sulla sua strada con una “lista per l’Italia” e Montezemolo stringendo l’alleanza con il mondo di Todi. Il significato è fin troppo chiaro: il Pdl può anche diventare più montiano di Monti e il Cav sparire per sempre in Kenya o chissà dove, ma nulla potrà mai accontentarli se non la totale liquefazione del Pdl. L’obiettivo finale è sì l’unità dei moderati, ma completamente deberlusconizzata. Anzi, antiberlusconiana. Il che è chiaramente inaccettabile per Berlusconi. Sia pure con due diverse operazioni centriste, lo scenario a cui lavorano Casini e Montezemolo è quello di un pezzo maggioritario del Pdl che rompe con il suo fondatore, e che si consegna mani e piedi al progetto neocentrista. A quel punto Berlusconi e i suoi fedelissimi non potrebbero far altro che dar vita a un nuovo partito berlusconiano, rancoroso e populista, e gli ex An farebbero altrettanto, un nuovo partito di destra, non potendo certo morire democristiani, ma entrambi sarebbero condannati all’isolamento. Questo il disegno contro cui Berlusconi si è scagliato nella conferenza stampa di sabato.
Consapevolmente o meno molti esponenti del Pdl, pensando al seguito della propria carriera politica, sono invece allettati da questa prospettiva e il segretario Alfano è esposto a tali sirene. Il rischio che corrono, ovviamente, è di venire usati in funzione antiCav e poi gettati, come è capitato a Fini.
In questa partita a scacchi c’entra poco la “responsabilità” nei confronti del governo Monti. Anche il Pdl, come il Pd, ha sostenuto tutti i provvedimenti dell’attuale esecutivo. E anche il Pd non ha mai rinunciato a criticarlo e a porre i propri paletti. Sembra quasi, però, che al centrosinistra di Bersani si perdonino le intemperanze demagogiche e la voglia nemmeno tanto velata di archivhiare in fretta l’agenda e la figura stessa di Monti (vedi dichiarazioni di Fassina e Vendola), mentre al Pdl si richiede di starsene buono, appiattito sulle misure del governo tecnico, perché se osa alzare il ditino allora scatta l’accusa di populismo, di irresponsabilità. Se il Pd di Bersani punta i piedi sui tagli alla spesa – alla sanità, alla scuola e agli enti locali – e se insieme al sindacato è riuscito a svuotare la riforma del mercato del lavoro sull’articolo 18, non si capisce perché il Pdl e Berlusconi non dovrebbero porre istanze sul fisco, sull’Imu o sull’Iva. E quale sede più appropriata della legge di stabilità, cioè il principale atto di politica economica, per dimostrare di esserci?
Può apparire contraddittorio, ma il Pdl non potrebbe tenere in piedi una linea responsabile sul governo Monti e l’Europa, al tempo stesso senza appiattirsi totalmente sulle misure, tra l’altro non impeccabili, del governo? Non è forse questa l’unica via che hanno a disposizione i partiti per recuperare un ruolo e la credibilità perduta? Un conto è che sia Monti, in prima persona, a sostenere la sua “agenda” davanti agli elettori imbufaliti – ma quale, poi, se il professore non intende chiedere esplicitamente agli italiani di rimandarlo a Palazzo Chigi, ed essendo quanto fatto finora appena sufficiente ad evitare il baratro ma non a ripartire? Tutt’altro conto è che siano i partiti screditati: possono permetterselo? E’ facile parlare quando non si ha a che fare con il problema della raccolta del consenso? Perché Monti non si cimenta?

di Federico Punzi