L’Italia commenta la caduta di Berlusconi

martedì 30 ottobre 2012


Certe cose non hanno prezzo. Finalmente, nel 2012 dopo vent’anni di tentativi sono riusciti a condannare, sia pure solo in primo grado, Silvio Berlusconi. Pagare l’Imu, 1000 euro. Fare il pieno al distributore, 120 euro. Una stecca di sigarette, 50 euro. Una famiglia numerosa, con meno detrazioni, 500 euro. Irap, studi di settore, tasse varie, 10mila euro. La pensione che si allontana, 800 euro. Luci spente, il contratto raggiunto e subito perso 1000 euro. La condanna del Caimano alias grande evasore non ha prezzo.
Condannare l’ex premier era una cosa così importante, per molti poteri, da dover essere perseguita a qualunque costo ed a qualunque prezzo. Non c’era sacrificio che non potesse essere accettato, anche la distruzione del paese, anche il suo declino, anche il suo suicidio. Una cosa senza prezzo. Data la notizia, i primi commenti, anche sul sito del giornale di Confindustria, non proprio il luogo principe delle rivolte e delle indignazioni, sono indicativi. Del genere: «L’unica “notizia” di questo articolo è che gli danno solo 4 anni». Oppure:  «Caro Silvio, t’hanno pizzicato. La verità fa male. Ci hai imbrogliato. Noi siamo rimasti col cerino in mano. Lei invece era a Malindi. Sicuramente un bel posto. Ma noi dobbiamo pagarlo». «Potrà organizzare bunga-bunga a San Vittore».
Qualcuno si chiede «Finirà come Al Capone? Dopo tutte le nefandezze che ha commesso, in carcere per frode fiscale?». Un altro è sicuro che «È finita la pacchia!!!». Dalla Germania c’è chi avanza una richiesta: «Signore e Signori Finalmente! Adesso in cella, e che si butti via la chiave». La rinuncia, il grande abbandono, il ricambio avviato con un passo indietro, appena ieri salutati da Mario Sechi come l’atto geniale per il quale «Berlusconi supera se stesso», adesso, alla luce della condanna penale, sicuramente nota alla difesa del celebre imputato, appare sotto un’altra luce sinistra, come l’annuncio obbligato prima del buio a mezzogiorno. Un altro commento esprime questo pensiero: «Berlusconi condannato. Finalmente i nodi vengono al pettine. Ma, a parte questo, viene da pensare che forse il motivo della sua rinuncia alla candidatura a premier vi era legata. Amo l’Italia, disse, e qualcuno credette a questo amore». E un altro ancora rincara: «Ora capisco come mai eri cosi indeciso per rinunciare a candidarti premier. Ora che non c’è nessuno che ti fa leggi e leggine ad hoc, hai quello che ti meriti». In questo fiume corrivo e corrosivo di odio, solo una voce esprime inquietudine e sconcerto, nonché contrarietà: «Palesemente un processo politico per un presunto reato che non potrebbe essere che tecnico. Una sentenza dopo un processo fatto durare oltre dieci anni è senza precedenti. Insomma una sentenza ingiusta e indifendibile».
L’Italia silente, silenziosa e silenziata, quella che, maggioranza nel paese, sperava nell’assoluzione per Andreotti, o che confidava, forte minoranza nel paese, in quella per Craxi, assiste sbigottita al risultato di dieci anni di indagini su atti compiuti tra il 2002 ed il 2003, ma pensati addirittura negli anni ‘80, dei rinvii a giudizio del 2006, dei sei anni di processo Mediaset a singhiozzo per frode fiscale. Si chiede quanto sia costato all’erario cercare di condannare Confalonieri, che invece se l’è cavata, e soprattutto condannare a tre anni l’egiziano Frank Agrama di cui l’ex premier Silvio sarebbe socio occulto nella frode fiscale sull’acquisizione diritti tv Mediaset. Sicuramente più dei dieci milioni di euro di fideiussione che, provvisioriamente, gli imputati condannati dovranno versare alle Entrate.
La condanna decisa dal collegio milanese, presieduto da Eduardo D’Avossa, però non ha prezzo. Non solo perché la condanna a quattro anni supera le migliori previsioni, le richieste stesse del Pm. Non ha prezzo poter dire che Berlusconi non potrà essere eletto, non potrà candidarsi, sarà interdetto dai pubblici uffici per cinque anni.
È solo il primo livello di giudizio, certo. Nulla è definitivo. L’Italia pensava che il Cavaliere sarebbe scivolato nell’altro processo, quello boccacesco di Ruby. Invece, è caduto non per la presunta egiziana, ma per un vero egiziano. Nesuna delle sentenze date è definitiva. La prima condanna già avvenuta nel tempo finì nel cestino del non più reato. Questa è la prima condanna però, senza rete. È stata emessa e come insegna la storia, in questi casi una ciliegia tira l’altra. Abbattuto il muro delle condanne, sarà più rilassante e confortevole emetterne altre. Sempre di venerdì se domenica si vota. E finalmente, nella guerra civile scientemente condotta, a tutti i livelli, si toccherà il cielo con un dito, si vivrà l’esperienza meravigliosa di cancellare il mostro, di eliminare il tiranno, di garantire nuovi, cioè vecchi, equilibri. Cosa che non ha prezzo. Nemmeno quella di buttare il paese nel baratro.

di Giuseppe Mele