Un " appello ai dispersi" per il futuro

giovedì 25 ottobre 2012


Certe volte penso che Marco Pannella venga dal futuro. Perché sa prevedere, riesce a “nasare” gli eventi prima che accadano, capisce prima degli altri dove andrà la storia. Ma ho capito qual è il suo segreto: è un coltivatore di memoria. Marco non è il solo “animale politico” ad avere questa caratteristica, certo, lo so, potrei fare altri nomi, ma è forse l’unico a tramandarla oralmente. Lo ascolto anche per questo motivo. A mio parere, infatti, uno dei danni che maggiormente si possono rilevare, in questi nostri tempi, è la mancanza quasi totale di memoria storica da parte di chi si impegna nella vita politica attiva.
Di conseguenza, oggi, uno dei mali peggiori è l’assenza di una prospettiva per il domani. Senza memoria non vi è futuro. È così. Assopendo o cancellando la memoria, in questi anni di dominio partitocratico, si è eliminato anche l’avvenire. E questo rischia di accadere ancora malgrado si parli molto, e da più parti, dell’esigenza - come ha ben scritto Giuliano Amato - di “tornare al futuro”. Perché l’esigenza di un ritorno al futuro è davvero urgente, impellente e necessaria, se vogliamo finalmente uscire da questa crisi di politica, di libertà e di democrazia. Ma regna ovunque l’illusione che lo si possa fare senza l’ausilio e il sostegno della memoria. Errore fatale. Spesso, si ha come l’impressione che tutto abbia avuto inizio dal momento in cui ciascuno ha cominciato ad occuparsi o ad interessarsi di politica. Matteo Renzi esclama: “Adesso!”. Allora, mi domando: “E prima?”. Niente, il nulla oppure si fa riferimento alla storia politica soltanto per ricordare ciò che viene considerato vecchio, superato, stantio.
Con il passato abbiamo gettato via anche la memoria. Siamo al trionfo del nulla partitocratico. In altre parole, è come se prima di noi non esistesse una memoria. E chi può darci un futuro? Si ha l’impressione che la storia, almeno per alcuni esponenti politici, cominci dal momento in cui è cominciata la propria esperienza politica. È un fatto curioso e drammatico, anzi: tragico. Ovviamente, non si può vivere ed agire con la testa rivolta all’indietro, tutti immersi nel passato, sarebbe un atteggiamento sterile e sbagliato, ma oggi succede l’esatto contrario, cioè accade che si ignori tutto ciò che è avvenuto prima di noi, prima del nostro arrivo. Lancio, dunque, un appello ai dispersi. Ai dispersi della memoria, ai coltivatori di memoria, perché sono gli unici a poter vedere e costruire il futuro senza perdersi nel nulla del presente. In politica, i pionieri sono soprattutto coloro che, avendo memoria e conoscendo la storia, guardano al futuro. Perché soltanto attraverso la memoria si può intuire l’avvenire e costruire il domani.
Senza, però, restare intrappolati nel passato. E la memoria è spesso tradizione orale, saggezza che si tramanda di padre in figlio, trasformazione dell’esistente. Senza conoscere non si può scegliere in modo consapevole, senza la forza antica della memoria non si può immaginare il nuovo possibile, senza memoria non si può cambiare ma soltanto ripetere gli stessi errori. Senza memoria non può esserci nemmeno fantasia perché la creatività è figlia della memoria. Mi sono sempre piaciuti i pionieri. La biografia dei pionieri, nel corso della storia, mi ha sempre attratto e incuriosito. Perché il futuro è possibile grazie ai pionieri, a quelli di oggi come pure grazie a quelli di un tempo, ed è affascinante conoscerne le gesta, riconoscere i loro meriti, capirne le urgenze o le motivazioni che gli hanno spinti. Nell’aprile del 1949, per esempio, sul secondo numero del periodico Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, Mario Ferrara scrisse un articolo di fondo che lasciò il segno per molti anni a seguire e di cui, oggi, si rischia di perdere la memoria. Eppure, quell’articolo sembra aver conservato, nei decenni, una sua impressionante attualità.
Certo, va riletto tenendo conto di tutte le diversità che il mutare dei tempi suggerisce e mostra, ma l’intuizione di fondo mantiene una forte contemporaneità e arriva salda fino ai nostri giorni. Infatti, proprio con quell’editoriale, prese avvio la prospettiva politica che condusse, nel dicembre 1955, alla nascita dell’allora denominato Partito Radicale dei Liberali e Democratici. L’articolo in questione, non a caso, si intitolava: “Appello ai dispersi”. La proposta lanciata da Mario Ferrara, il nonno dell’oggi notissimo Giuliano, era quella di attrarre e riunire insieme le forze che avessero in comune l’antica e modernissima ispirazione risorgimentale, in tutte le sue varianti. Ma non guardava indietro, volgeva lo sguardo verso il futuro. Guardava forse a noi. Un tale progetto politico, immaginato fin dal primo numero del giornale Il Mondo, nasceva per una intuizione di Mario Pannunzio, Niccolò Carandini, Ernesto Rossi, Mario Paggi, Panfilo Gentile e dello stesso Ferrara coinvolgendo anche un gruppo consistente di altre menti illuminate o, forse, di sognatori provenienti dalla cosiddetta sinistra liberale e molto legati alla cultura politica della destra storica di Cavour, Silvio Spaventa, Quintino Sella e Marco Minghetti. Insomma, pionieri sono stati i fondatori del Partito Radicale nel 1955 e pionieri sono stati i tanti protagonisti del Risorgimento italiano. Pionieri sono stati Marco Pannella e Luigi De Marchi. Pionieri sono stati sempre i Radicali.
Pionieri dei diritti civili ed umani in Italia e nel mondo. Pionieri della libertà, con la religione della libertà di Benedetto Croce. Che cosa mi aspetto, allora, dall’XI Congresso di Radicali Italiani? Che si dia forza alla memoria storica per essere davvero i pionieri di oggi e aprire, in questo modo, porte e finestre al futuro. Magari per lanciare, proprio da lì, il nostro “Appello ai dispersi”.

di Pier Paolo Segneri