In Italia, la politica dei Gattopardi

mercoledì 24 ottobre 2012


A chi fosse sfuggito, sul tema caldo della scuola pubblica, il segretario del Pd Bersani ha espresso senza pudore un concetto che sta fondamentalmente alla base della catastrofe finanziaria ed economica che stiamo vivendo. Opponendosi all’intendimento del governo di portare a 24 le ore di lavoro settimanale degli insegnanti, in luogo delle attuali 18, il leader del Partito democratico ha dichiarato a Repubblica «che è a rischio un bacino di almeno 400 mila voti».

Ovviamente Nichi Vendola lo ha subito applaudito. Ma anche dagli altri partiti dell’attuale, strana maggioranza si alzato un coro di disapprovazione circa il “rivoluzionario” intendimento dell’esecutivo dei tecnici di trasformare in instancabili stacanovisti i nostri docenti di ogni ordine e grado. Tant’è che lo stesso ministro dell’istruzione Profumo ha dichiarato al suo staff: «Sulle sei ore fermiamoci, siamo troppo vicini alla campagna elettorale». Ma stando così le cose, e le cose ahinoi stanno proprio in questi termini, nel nostro disgraziato paese non sembra esserci altro spazio che per la politica dei gattopardi, dato che non appena si accenna ad un qualsiasi cambiamento, che tocchi un qualche interesse consolidato, si scatena una caccia al consenso, quest’ultimo basato sulla difesa ad oltranza del medesimo interesse.

E questo, si badi bene, avviene all’interno di un sistema democratico in cui non vi sono limiti economici e finanziari all’azione del Parlamento. Quindi, in teoria, una qualsiasi maggioranza potrebbe deliberare, onde garantire alcuni benefici a qualcuno, la rovina di intere categorie senza che vi sia un paletto costituzionale per impedirlo. Proprio su questo piano, ossia esprimendo le mie perplessità su un impianto democratico privo di limiti nella spesa e, conseguentemente, nell’esproprio fiscale, mi sono preso l’etichetta di ideologo estremista da Michele Boldrin, nel corso di un dibattito promosso da “Fermare il declino”, movimento fondato da quest’ultimo insieme ad Oscar Giannino. Eppure, estremismi a parte, la vicenda in oggetto dimostra, nonostante si viaggi costantemente sull’orlo del baratro finanziario, che basta una manciata di voti per scatenare una irresponsabile concorrenzialità, per così dire, al ribasso tra tutti partiti.

Ciò conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che questi ultimi sono nel contempo artefici e vittime di un meccanismo che tende, per come si sono strutturate le cose nel tempo, a privilegiare i soggetti che più di altri sono in grado di garantire una certa voracità sociale, utilizzando il solito e funesto meccanismo del deficit spending. Per questo motivo risulta un compito quasi proibitivo eliminare anche il più iniquo ed ingiustificato privilegio una volta che sia stato concesso. Ed è proprio in nome e per conto di questa catastrofica ma quasi ineliminabile deriva democratica che gli attuali rappresentanti del popolo sembrano tutti pronti a seguire il sinistro Bersani nella sua dissennata caccia al voto facile. Povera Italia!


di Claudio Romiti