mercoledì 17 ottobre 2012
Fuggire da quest’Europa, riorganizzare un’economia nazionale manifatturiera, rifondare banche nazionali in grado di fare credito alla piccola e media impresa come alle famiglie ed ai commerci... L’italiano medio vorrebbe questo, ma il “salotto buono” s’oppone.
Anzi, le tecnocrazie al potere (quelle che governano le democrazie bancariamente protette) propongono la supervisione bancaria e la ricapitalizzazione diretta delle banche tramite il fondo salva stati. Misure partorite nella Commissione Ue e Bce, che vanno tutte in direzione del “Meccanismo unico di supervisione bancaria” (Ssm): quindi vengo accentrati presso la banca europea ulteriori compiti di vigilanza.
Ovviamente queste politiche richiedono ulteriori sacrifici da parte dei paesi più deboli dell’Ue: meno investimenti, più disoccupazione e tasse sempre più pesanti su casa, energia, trasporti e comunicazione. Politica monetaria e di supervisione della Bce divengono un tutt’uno, e le democrazie sono ormai vincolate a lavorare solo alle riforme gradite ai leader dell’euro-gruppo. La capitalizzazione diretta delle banche da parte del fondo salva stati assurge a unica priorità, perché la cancelliera tedesca Angela Merkel ha già pianificato un terzo prolungamento del fondo nazionale salva-banche (Soffin).
Il secondo fondo di stabilizzazione per gli istituti di credito in difficoltà, il Soffin II, è entrato in vigore il primo marzo 2012 e scadrà a fine anno. Sorge il dubbio che i famosi “sacrifici per l’Europa” servano solo per sostenere (forse non intaccare) le economie trainanti dell’Ue: ovvero centro e nord Europa.
Intanto l’Europa mediterranea inizia a reagire a queste misure drastiche con un forte “nazionalismo da rigetto”. Il mercato unico, nato il 15 ottobre 1992 e che avrebbe dovuto garantire la pace (tanto da conquistarsi il Nobel), potrebbe presto tramontare. Il fattore di frammentazione è ormai favorito dalle manovre che salvano l’europa ma sopprimono i cittadini di Spagna, Italia, Portogallo e Grecia. Il mercato unico, nato come grande cambiamento della vita quotidiana, sta decimando le opportunità di lavoro nelle zone più povere dell’Ue.
Il nazionalismo economico torna ad appalesarsi come unica via di fuga da un’Europa che chiede solo sacrifici senza nulla in cambio. Gli alibi alle misure punitive verso le aree più povere sarebbero per l’Ue la non solvibilità, gli “spread” eccessivi e, dulcis in fundo, i debiti sovrani. Ecco che scattano le punizioni: niente prestiti, per non intaccare l’integrità della moneta unica.
E mentre i popoli chiedono governi politici che offrano opportunità, dalla stanza dei bottoni vengono elogiati gli eccessi d’austerity. E le parole del direttore generale di Fmi, Christine Lagarde, si risolvono in un flebile invito a dare precedenza alla crescita. Oggi molti politici che hanno appoggiato il governo Monti s’accorgono che l’economia italiana è stata spinta verso una recessione ancor più profonda: sui paesi poveri pesa il costo finale del salvataggio europeo.
L’impressione è che queste politiche non cesseranno prima che l’Ue abbia bruciato tutte le scorte di Italia e Spagna, a patto che non intervengano libere elezioni e governi politici nazionalisti in grado di scongiurare la catastrofe.
di Ruggiero Capone