sabato 13 ottobre 2012
Le primarie impazzano come idea, come simbolo, come redenzione, come via d’uscita dal cul de sac in cui si ritrovano elettori ed eletti, gli attori della democrazia rappresentativa.
Nel timore che la democrazia indiretta sia fallita, come parallelamente, nella convinzione che serva solo a riprodurre una casta oligarchica al comando, le primarie vengono identificate in un’occasione di democrazia diretta. L’ultima occasione di far coesistere referendum e parlamento, democrazia diretta ed indiretta. Si tratta evidentemente di un pasticcio istituzionale, politico e partitico.
D’altronde è figlio di altri pasticci e confusioni. Il pasticcio dell’imitazione del modello istituzionale Usa, cominciata dopo Mani Pulite, che ha portato alla coesistenza di ministeri ed agenzie, assemblee ed authority, burocrazie fatte passare per aziende private, intrecciata con la tendenza alla moltiplicazione delle fonti del diritto. Il pasticcio del presidenzialismo, quasi concretizzato nel bipolarismo, nel leaderismo e nella personalizzazione delle fazioni, eppure mai istituzionalizzato veramente, che è rimasto solo un trend. Il pasticcio dell’autonomismo territoriale, chiesto inizialmente solo dalla Lega, e solo per il Nord (cioè la parte del paese capace di gestirlo). Che è stato istituzionalizzato su un altro piano concettuale, quello della parità di sovranità tra stato centrale e 22 regioni, più di cento province, quasi diecimila comuni, così da renderlo un problema peggiore della soluzione.
Tante idee forza (presidenzialismo, federalismo, americanismo, europeismo) sono state assorbite da eletti e elettori (come lo erano stati ambientalismo e pacifismo), come spezie aggiunte alla pietanza, senza mai la capacità, la forza e l’onestà di proporre ed cucinare fino in fondo un solo menu. Le primarie sono un evento partitico tipicamente Usa, perché collegate in quel contesto alla scelta tra registrarsi per il voto o no, tra votare e no. Nella mentalità pratica americana, che non concede alla politica di entrare oltre un tanto nelle libertà di individui e di corpi intermedi, il non voto è una scelta legittima, largamente praticata, che sfiora ed anche supera il 50%. Molti da noi lo definiscono l’antidemocrazia, il disimpegno, e la disillusione civile. Sono gli stessi che credono che la politica possa e debba fare tutto. Le primarie sono quindi il metodo, pompato da un suo show business, di portare i cittadini al voto, poi al partito, infine al candidato. L’apparato che le organizza è costituito da eletti e studiosi ma soprattutto da professionisti del settore. Nessuno proviene da una scaletta congressuale, semmai da una gigantesca cooptazione largamente influenzata dal peso degli sponsor.
Chi parla di primarie in Germania, dice il falso. Là le primarie sono i congressi: prima federali, poi nazionali. La Germania è una vera federazione ed ogni land può mettere il veto sulle norme che lo tocchino direttamente. In quel contesto, il Renzi locale per rottamare il vertice di ex Pci ed ex Dc centrali, non avrebbe dovuto che vincere nel suo congresso regionale e poi allearsi con un numero sufficiente di leader regionali Pd. In realtà le primarie distorte all’italiana sono una conditio sine qua non per la sinistra nostrana, tutt’oggi orfana del Pci e del frontismo. Con le primarie, tornano a giocare insieme i 3-4 partiti direttamente eredi del Pci, più i vari cattolici, progressisti e socialisti del fronte unitario del dopoguerra.
Chi vuole la completa maturazione del Pd a partito centrista capace di allearsi con gruppi di moderati, non vorrebbe le primarie che invece deve subire sotto l’ondata della piazza. Quella piazza che un tempo il Pci dominava e che oggi il Pd subisce. Nel centrodestra l’esigenza delle primarie è sbandierata da chi vorrebbe smarcarsi da Berlusconi, padre padrone di sempre; ma anche da chi pretende democrazia interna o democrazia diretta. Parallelamente vengono ancora richiesti congressi territoriali Pdl che tra d’altro dalla primavera sono stati anche effettuati qui e là con maggiore o minore serietà. Le richieste di primarie e\o congressi fiiniscono per confondersi ed esplodere ogni qualvolta che appaia sicuro il ritiro dalla candidatura elettorale del Cavaliere per poi sopirsi di fronte a nuove scese in campo.
La richiesta di primarie, come quella congressuale, cozza con una tradizione di convention che ha sempre tenuto insieme diverse anime, attraverso un pugno di dirigenti apicali, cattolici, nazionalisti e laici, strettamente legati a Berlusconi. Chi chiede di più le primarie è il pugno di liberali strictu sensu, che sarebbero i primi ad esserne mortificati. Una volta messe in campo, le primarie di destra sarebbero il derby tra leader cattolici al nord e tra leader postfascisti al sud, segnando un arretramento del livello del gruppo dirigente. A sinistra, le primarie sono l’ultimo modo per tenere insieme la forza dell’ex Pci, che venne meno per questioni internazionali. A destra, le primarie non farebbero resuscitare il senso di sé di quelli che furono democristiani, missini, socialisti, repubblicani, socialdemocratici e liberali. Per avere senso in Piemonte e Veneto, dovrebbero poi includere i leghisti che oggi invece marcano il distacco dal centrodestra.
In realtà le primarie, idea bislacca di una sinistra italiana che deve tenere insieme l’impossibile, dall’antagonismo al liberismo progressista, sono solo l’ultimo degli esempi della continua fotocopia di idee sinistre fatte dalla destra. Non si comprende perché il centrodestra si metta a copiare l’ambientalismo, il giustizialismo, il kilometro zero, l’euroburocratismo, il familismo, il neovipfemmismo, il pacifismo e l’eticismo, deludendo costantemente i suoi elettori. Le primarie non garantiscono battaglia tra diversi contenuti: eliminazione del sostituto d’imposta, vero grimaldello della ricostruzione fiscale, fine del valore legale del titolo di studio, tetti reddituali per pensioni e per manager pubblici, lotta al sistema giustizia, fine degli albi, nuove politiche europee ed estere, reddito di sostegno e non cassa integrazione, unificazione sindacale e partecipazione. A che serve una pseudoelezione tra le mille cui l’elettore è già chiamato? Si attende qualcuno nel centrodestra che chieda la fine della Regione speciale siciliana, a prescindere da chi vinca nell’isola.
Questo è il senso di una fazione (ed i partiti non sono altro che fazioni private): un’idea, una proposta, la sua applicazione. Altrimenti bastano i prefetti ed i magistrati con corredo di panem et primaries.
di Giuseppe Mele