A Roma molti vogliono il Monti-bis

martedì 9 ottobre 2012


Sembra proprio che la politica di professione intenda per un quinquennio rintanarsi localmente, tra comuni, province, regioni. Lasciando il governo della nazione e, logicamente, i rapporti con l’Ue ai supertecnici: è ovvio che, per salvare le apparenze, questa volta Monti e compari sortirebbero dalle urne. Procrastinare la battaglia politica, e di ulteriori cinque anni, raffredderebbe gli animi e restituirebbe al paese un bipolarismo scevro da berlusconismo ed antiberlusconismo.

Il corpo elettorale italiano verrebbe purgato dagli ultimi frutti politici del ‘900: perché berlusconismo ed antiberlusconismo sono questo. Ovviamente la politica andrebbe in letargo solo per quanto concerne il governo del paese, ma ritroverebbe una vitalità nelle amministrazioni locali. Tutti i leader di partito (fatta eccezione per Di Pietro, Grillo, Vendola, Storace e Maroni) vorrebbero questo lustro di pausa, e gradirebbero che l’elettorato si dimostrasse accondiscendente e comprensivo verso quest’esigenza nutrita dai grandi partiti.

Del resto non si vede all’orizzonte alcun politico in grado di dimostrarsi catalizzatore d’un voto di maggioranza. Emergono (solo perché saltellano) solo mezze figure di centro-destra, di centro-sinistra e di Terzo Polo. È fin troppo evidente che Bersani non abbia i numeri per vincere le primarie del Pd, figuriamoci le consultazioni politiche: anche il suo sfidante Vendola si dimostra espressione d’una fazione della sinistra. Poi c’è Matteo Renzi, il rottamatore che si candida a premier per lo Stivale: anche lui è espressione d’una parte del centro-sinistra, e forse potrebbe vincere le primarie grazie al voto dei berlusconiani di sinistra, ed anche per le politiche si dimostrerebbe detentore d’un consenso trasversale.

Renzi ha parecchi assi nella manica, ma è anche giovane ed intelligente: sa di poter attendere cinque anni, soprattutto che un lungo governo Monti condurrà alla rottamazione tutti i suoi nemici ultrasessantenni. A conti fatti un asse Renzi-Alfano, e per sedare gli animi di chi vorrebbe un governo di politici, potrebbe sortire l’effetto d’una massiccia rottamazione: anche se va evidenziata la debolezza d’una simile intesa. Non mancano coloro che necessariamente (per motivi consensuali) devono sperare in un Monti bis: si allude a Pierferdinando Casini, Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, che potrebbero proporre al vincitore delle primarie Pd l’intesa sul quinquennio tecnico-politico. E che la politica si sia spostata localmente, tra province e periferie d’Italia, lo si riscontra dai luoghi scelti dai succitati per meeting e manifestazioni varie.

Va anche detto che i grandi poteri bancari si mostrerebbero più magnanimi con un’Italia non governata da gente espressione meramente di partiti e consensi. Dei partiti non riottosi, accondiscendenti ad una democrazia reale bancariamente protetta, offrirebbero delle garanzie all’estero che certamente non possono dare coloro che cavalcano i bisogni della gente comune, la difesa dei diritti dei più poveri, la schiena dritta con l’Europa e, soprattutto, l’idea che l’Italia non debba onorare i propri debiti con gli istituti europei. “Se lista per l’Italia avrà voce in capitolo nella scelta del premier, la possibilità di proseguire con Monti c’è”, ha detto Gianfranco Fini a margine di una iniziativa di Fli.

È evidente che Fini veda in questo Monti-bis la giusta pausa per riorganizzare localmente il suo partito. Stesso discorso vale le Rutelli. Ma anche Casini sa di non poter superare il 9 o 10%, di non avere ancora i numeri sufficienti per ergersi a premier votato dalla maggioranza degli italiani. Ecco che, da papa di transizione, Monti assurge a medicina necessaria per una riabilitazione della partitocrazia pura, quella che non può prescindere dalla politica come lavoro esclusivo. «Io sono favorevole a Monti, ma sono ancora più favorevole ad una democrazia che sia in grado di esprimere una forza sana, pulita, democraticamente eletta», dice Giuseppe Vita (presidente di Unicredit) commentando così l’ipotesi di un Monti-bis. Vita ha incontrato il premier Monti all’inaugurazione di un nuovo stabilimento Barilla.

«La mia ammirazione per Monti è enorme - aggiunge Vita - ma Monti non è eterno, non possiamo sempre sperare nel miracolo Monti, ci vuole un sistema politicamente pulito e stabile. La prima domanda che mi fanno all’estero è cosa succede dopo Monti?». È evidente che Vita non si voglia sbilanciare, ma tra le righe lasci intendere che il miracolo Monti potrebbe permettere ai parti di riorganizzarsi e di blindare un consenso che, da almeno un decennio, si dimostra ondivago. Abbiamo tutti criticato la non alternanza e con essa molti aspetti della prima repubblica, dimenticando che un partito che possa dirsi titolare d’un consenso certo (di voti sicuri) è interlocutore autorevole sul piano della politica internazionale, quindi meritevole di fiducia. E quale investitore internazionale darebbe mai fiducia ad un paese in balia di governi espressione di partiti umorali, dal consenso evanescente e incerto?

Il ritorno, anche se in forma da terzo millennio, al partito pesante ed organizzato assurge a passo necessario. Dopo 19 anni di rifiuto delle organizzazioni partitiche, quel che resta di destra, sinistra e centro cerca di riedificarsi. A chiedere che l’interlocutore politico non sia più evanescente e debole ci si mettono anche Confindustria, sindacati e Chiesa Cattolica: tutti e tre questi soggetti (soprattutto Cisl e Acli) chiedono con forza che la politica esca dalla sua fase larvale, e che nel frattempo le redini dello Stivale siano lasciate a Monti. Ovviamente in questa fase c’è chi vede il definitivo tramonto del Cavaliere, a cui probabilmente verrebbe chiesto d’unirsi al coro di chi approva il Monti bis. Ma c’è anche chi sostiene che di fatto la battaglia politica si potrebbe incancrenire a livello locale, coinvolgendo le procure in un lotta sempre più dura agli amministratori comunali e regionali: i casi Fiorito sboccerebbero ovunque e più copiosamente. Al piano alto della politica rimarrebbe un accordo sereno sul Quirinale: ovvero, per convincere l’intero Pd che il Monti bis è necessario, il dopo Napolitano dovrebbe necessariamente chiamarsi D’Alema.

Quest’ultimo è già stato presidente del Consiglio, e nei palazzi sanno bene che da tempo ha preso il posto che era di Cossiga: D’Alema è il nuovo grande vecchio delle segrete cose, ruolo che incarna egregiamente nell’ottima gestione del Copasir: una sua presidenza della Repubblica avrebbe lati positivi e negativi, certamente non sarebbe priva d’autorevolezza e prestigio, soprattutto consoliderebbe il Monti Bis.


di Ruggiero Capone