Il Divo Giulio che parla ai cittadini

giovedì 4 ottobre 2012


Tremonti, Giulio I, II, III, in attesa del IV sull’“Hummington Post” anche Tremonti ha annunciato un manifesto politico (ed un partito). Non è il primo. Nel 2009 un Capuzzo eccitato salutava un team d’eccezione, mix destro-sinistro, professori e parenti eccellenti, impegnati nel “Manifesto del diritto futuro” da presentare al G8.

Nel gruppo Letta jr. ed i figli di Napolitano e Visentini; Guido Rossi e l’attuale ministro Grilli; tanti giuristi e  quell’ambasciatore Baldocci che si prendeva un’onorificenza francese mentre Sarkò rideva in faccia al Cavaliere. Il primo manifesto Tremonti snocciolava la norma mondiale di un codice cosmopolita kantiano, il global legal standard in contrapposizione al fiscal kompact, caccia spietata alle banche fonti di moneta cattiva, ai paradisi fiscali ed ai nuovi Templari quali Goldman Sachs & affini ed infine detax indirizzato senza mediazioni ai poveri del mondo.

All’epoca Tremonti era guida finanziaria di un paese senza crisi, membro di un esecutivo forte, trait d’union tra Lega e Pdl, esponente in Europa della maggioranza nazionale del partito di maggioranza generale. I convenuti, inclusa l’Ocse, accorrevano ed erano felici d’essere ospiti dei seminari di don Verzè al San Raffaele. I capi Ue ascoltavano Tremonti tacendo mentre risuonavano tra una erre sibilante e l’altra, le teorie sui risparmi pubblici&privati, i progettati eurobond ed i rimbrotti sulle norme sui cetrioli. Il Tremonti di oggi non è più dimesso, semmai più libero.

In un completo sdoppiamentico di personalità, condanna tutta una serie di azioni ascrivibili al suo operato da ministro, dai vincoli del patto per la stabilità per gli Enti locali, all’introduzione dei costi di riscatto pensionistico o alla messa a punto dell’agguerrita macchina fiscale antievasori. Mai lo stato ha incassato più danaro che sotto di lui, i suoi eredi impallidiscono oggi che l’aumentata pressione fiscale porta all’erario introiti minori.

Per questo motivo Giulio è odiato da gran parte della sua parte politica che ha trovato sempre poca soddisfazione sul raggiungimento del bilancio attivo delle partite statali correnti. Le sinistre gli sono contrarie non accettando l’eccessivo nordismo, la sua idea particolare di Europa, i conferimenti dati a Cassa depositi e prestiti ed il rifiuto di patrimoniali. In tempi diversi è stato avversato dai Casini e dai Fini, che volevano poter spendere, per famiglie e forze dell’ordine. Contraddittoriamente anche la parte più liberale Pdl, la stessa che oggi fa buon viso al Monti corrente, si era sollevata, in nome dell’eccessiva tassazione, contro il Prina del Cavaliere.

Una sollevazione, condivisa dai Martino e Galan con i Cicchitto e Brunetta, a difesa dell’impasse dell’estate 2011, quando il bivio per Berlusconi era tra proseguire la politica di contrasto al fiscal kompact franco-tedesco o salvare il governo. La resa all’impostazione europea di Draghi avrebbe condotto, con altri fattori, comunque alla caduta del governo. Oggi la rabbia antitremontiana di tanti liberali di base tra l’ingenuo ed il fazioso, prosegue, nello slancio di quell’epoca, in nome di un ipotetico statalismo, quando lo stesso Giannino si appella a interventi pubblici sui grandi mercati. Tre volte Berlusconi in difficoltà ha sacrificato Giulio, per con il senno di poi, ritrovarsi più d’accordo con lui che con i consiglieri più vicini.

Per le radici Pdl di rivolta alla stagione del Britannia di Draghi e Prodi ed al sacco d’Italia dei primi ’90, è assurdo finire chine sotto il colonialismo fiscale europeo, mascherato da liberalismo globale. Il colmo è poi raggiunto dai finiani che condannano l’eccessivo liberalismo tremontiano, quello della “crescita non si fa per decreto”. Il nuovo manifesto, “Lavoro e libertà, avanti ma insieme” non si rivolge più ai capi di stato ma agli elettori che dovrebbero sostenere il suo nuovo partito assieme alla teoria dell’“uscita di sicurezza”. Giulio non è però tagliato per elezioni cittadine, regionali o nazionali.

I suoi manifesti e libri, aspirano a troni più grandi, almeno europei. Se Monti compila un’impostazione istituzionale europea già data ed immodificabile, il sondriese pone implicitamente il problema della necessità, per una vera democrazia europea, di veri partiti continentali. Tremonti vorrebbe portare in giro per l’Italia, cominciando il 7 ottobre da Riccione, il vecchio manifesto, quello nuovo, le idee sviluppate in un decennio. Sulla scia dei politici da camper, treno e bus, i Rutelli, i Prodi, i Veltroni, i Renzi. Idee semplici ed alate: combattere «eclissi giuridica e globalizzazione selvaggia; erigere una Bretton Woods europea con percorso contrario di quella Usa ’44. Al contrario del dominio mondiale del dollaro, l’euro deve chiudersi in una fortezza, porre l’eurofinanza sotto stretto controllo, in un contesto di protezionismo e di intervento pubblico continentali.

È l’idea di applicare in Europa il dirigismo economico cinese e dei Brics. Ha solo il difetto di spezzare in due l’Occidente, ponendo gli europei in rotta di collissione con gli Usa ed il loro liberismo globale. Spartitura anche chiara, che non ha chi possa suonarla. Non certo l’Europa fondamentalmente divisa, ancora dipendente dal resto del mondo sia per la difesa, che per l’energia, sia per Internet che per i flussi finanziari virtualmateriali. Senza contare che il cinismo di un nuovo dirigismo cozza con federalismo e con l’idea che l’economia abbia bisogno di coesione sociale, cioè di democrazia. Accanto a sé Giulio avrà Critica sociale di Finetti - Carluccio ed il gruppo socialista di Formica e Delbene, il che significa unire spezzoni non amalgamabili di antichi socialisti, leghisti bossiani, destri e corte dell’ex ministro delle finanze barese.

L’algidità dell’uomo, lo scarso appeal popolare, i piccoli numeri di partenza cozzano con le idee manifeste, elevate tanto quanto è grande l’autostima del tre volte ministro delle finanze del centrodestra. Il suo difetto - far passare da sprovveduti tutti gli altri, Amato, Ciampi, Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Monti incluso Delors, tedeschi ed americani - lo farà tornare assieme al Cavaliere. I liberal applaudiranno riaccettandolo tra loro in un mix di sussidiarietà e territorio, diritto vs. mercato, di lotta al fascismo bianco ed al latifondo finanziario. Confusione sufficiente per la prossima defenestrazione. Fatto è che alla coppia Quirinale-Chigi di Prodi-Renzi e di Monti-Passera, cosa può contrapporre il centrodestra se non Berlusconi-Tremonti?


di Giuseppe Mele