Una bella fiction per ricordare Tortora

mercoledì 3 ottobre 2012


La fiction Rai diretta da Ricky Tognazzi, intitolata Il Caso Tortora - Dov’eravamo Rimasti, ha il merito di avere riportato all’attenzione della pubblica opinione, a distanza di trent’anni, una vicenda dolorosa e sconvolgente nella quale si trovò coinvolto un signore raffinato e perbene come Enzo Tortora.

La fiction è stata realizzata grazie alla  sceneggiatura scritta da Giancarlo De Cataldo, Simona Izzo e Monica Zapelli. Gli autori della sceneggiatura si sono ispirati a due libri, che hanno raccontato con realismo e precisione questa tragica vicenda: Vittorio Pizzuto, che ha scritto il libro Applausi e Sputi - Le due Vite Di Enzo Tortora, e Fratello Segreto, di cui è autrice la sorella del presentatore e giornalista, Anna Tortora. Nella fiction, commovente ed emozionante, trasmessa su Rai 1 domenica e lunedì, viene narrata l’odissea dolorosa e terribile che il noto presentatore dovette affrontare dal 1983 al 1987, per ottenere giustizia e il riconoscimento della sua innocenza.

Trent’anni fa all’alba, il 17 giugno 1983, Enzo Tortora, mentre riposava in una stanza dell’Hotel Plaza di Roma, venne tratto in arresto con l’accusa infamante di associazione a delinquere e spaccio di stupefacenti. Come nella fiction viene mostrato, la sera prima di andare a letto, e dopo che aveva ricevuto un premio per la sua trasmissione di successo, Tortora aveva ricevuto una telefonata da parte di un giornalista, suo amico, nella quale il cronista lo informò che era stato spiccato un mandato di cattura nei suoi riguardi da parte della procura di Napoli. Il presentatore, dopo avere parlato con l’amico giornalista, confessò alla sorella Anna che aveva ricevuto la telefonata di un ubriaco, che gli preannunciava una notizia inverosimile.

Appena irruppero le forze dell’ordine nella sua stanza d’albergo all’Hotel Plaza, Tortora fu colto dalla sorpresa e sgomento non riusciva a capire di cosa fosse accusato e soprattutto quali fossero le sue colpe. Condotto in questura e consapevole di trovarsi in una situazione kafkiana, venne trattenuto, in attesa di essere portato in carcere, sicchè in seguito uscì dalla caserma ammanettato, proprio nel momento in cui aveva inizio il telegiornale. Fu questo il momento nel quale si impose nel nostro paese quel fenomeno grave ed inaccettabile che consiste nel trasformare le vicende giudiziarie in un ignobile spettacolo, da offrire al meccanismo mediatico giudiziario, analizzato con preoccupazione dai giuristi e dagli studiosi.

Una volta in carcere, Enzo Tortora, tormentato per l’infamia che gli era stata gettata addosso dai sedicenti pentiti che lo accusavano di fatti gravissimi, da uomo sensibile, colto e intelligente prese coscienza della gravità della condizione degli istituti di pena italiani. Persone, con cui condivise la detenzione preventiva, in attesa di giudizio da molto tempo. Celle degradate e sovraffollate, dove la rieducazione della persona condannata per i reati di cui si è resa responsabile, diviene impossibile e rappresenta una semplice illusione.

In quel contesto doloroso e terribile, dove la sua sensibilità di uomo perbene venne esacerbata da alcuni articoli di giornali, sui quali si insinuava il sospetto che avesse avuto una doppia vita, quella pubblica e quella segreta ed inconfessabile, Tortora soffrì moltissimo e capì sulla sua pelle a che punto fosse arrivato il degrado della giustizia nel nostro paese. Per questo motivo si prodigò per aiutare, nei limiti in cui era possibile, i suoi compagni di detenzione, dimostrando, come nella fiction emerge con grande evidenza grazie alla forza del racconto, un altissimo e commendevole grado di umanità e bontà d’animo.

Se alcuni giornalisti si resero responsabili di avere scritto articoli con i quali davano credito, sbagliando, alle accuse dei pentiti, pur di trasformare l’uomo di successo in un mostro da additare al pubblico ludibrio, intellettuali e scrittori come Leonardo Sciascia, Enzo Biagi e Piero Angela, comprendendo il rischio che alla base della inchiesta vi fosse un errore giudiziario, presero le difese pubblicamente del presentatore e del collega giornalista. In carcere, come mostra molto bene e con grande efficacia la fiction televisiva, Tortora maturò la decisione di impegnarsi sia per dimostrare la sua innocenza, sia per invocare una riforma della giustizia, sia per sollecitare l’attenzione delle istituzioni e della pubblica opinione sulla condizione disumana in cui versavano gli istituti di pena nel nostro paese.

Dopo un malore che lo colse nel carcere, provocato da un articolo di giornale vergognoso con cui lo si accusava di avere speculato sulla raccolta di fondi per i terremotati dell’Irpinia, gli vennero concessi gli arresti domiciliari. In questo periodo, mentre viveva una sofferenza interiore che già ne stava minando la salute, Tortora ritenne giusto rivolgersi ai radicali, di cui aveva condiviso le battagli per il riconoscimento dei diritti civili, in particolare la legge per il divorzio.

Eletto al Parlamento Europeo, rinunciò all’immunità, e dopo avere subito in primo grado una condanna a dieci anni di reclusione, dovuta alle dichiarazioni di sedicenti pentiti, inattendibili e palesemente disturbati sul piano psichico, si dimise dall’Europarlamento per farsi processare senza godere di alcun beneficio. Infatti, come dichiarò mentre attendeva il giudizio di appello, considerava l’immunità un privilegio della casta partitocratica.

Nella fiction, e questo è apparso come un limite, non viene adeguatamente rappresentata la divisione che si produsse all’epoca nella pubblica opinione sul caso Tortora, tra innocentisti e colpevolisti. A Napoli, difeso in appello dal bravissimo avvocato Raffaele Della Valle e dall’avvocato Alberto Dall’Ora, venne assolto dall’accusa infamante di associazione a delinquere e spaccio di droga. Ritornò nel 1987 a condurre il suo programma televisivo, mentre un anno dopo, colpito dal cancro, presumibilmente causato dallo stress e dalla sofferenza che dovette subire, morì all’età di 59 anni.

Questa vicenda umana e giudiziaria di Enzo Tortora, ricostruita con grande bravura dagli autori e dal regista della fiction, a distanza di trent’ anni ripropone il problema della riforma della giustizia, la necessità che sia prevista la responsabilità civile per i magistrati che sbagliano nell’esercizio della giurisdizione, la questione legata al degrado inaccettabile in cui sono sprofondati gli istituti di pena, sovraffollati e dove i detenuti sono costretti a vivere in condizioni disumane.

In trent’anni, nel nostro paese, non solo non si è riusciti ad approvare una seria ed efficace riforma della giustizia, malgrado le tante battaglie promosse dai radicali, ma il degrado e i casi di malagiustizia sono aumentati a dismisura. Questo fatto ha  provocato i richiami all’Italia da parte della Alta Corte di Giustizia di Strasburgo sulla questione dirimente e fondamentale  dei diritti e delle garanzie dei cittadini, indagati ed in attesa di giustizia, visto che il 40% della popolazione carceraria attende di essere giudicata. 

Resta una vicenda tragica, quella vissuta da Enzo Tortora, su cui riflettere con distacco e serietà, poiché a distanza di trenta anni aiuta a capire per quali ragioni non è stato possibile migliorare l’amministrazione della giustizia nel nostro paese.

di Giuseppe Talarico