Stato-mafia alla svolta finale

giovedì 27 settembre 2012


Vogliono tutti gli atti e le intercettazioni in cui, intercettando Nicola Mancino, hanno di fatto ascoltato le conversazioni del Capo dello stato. E li vogliono subito, alla Corte costituzionale. Che nei giorni scorsi ha recapitato un’insolita ordinanza alla procura di Palermo provocando le prevedibile reazioni dei pm che indagano sulla trattativa stato-mafia. I cui principali protagonisti, però, cioè l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi, almeno a volere dare per buone le testimonianze di Claudio Martelli, sarebbero ormai defunti da un pezzo.

Ieri di questa ennesima polemica nella polemica davano conto sia il Corriere della Sera sia La Stampa. Precisando che «i giudici costituzionali non vogliono sapere il contenuto» di quelle segretissime telefonate che sono diventate l’ennesimo mistero d’Italia. Quando però si chiedono i brogliacci riassuntivi dei colloqui in questione, qualche dubbio viene. Sia come sia, a oggi sul sito istituzionale di palazzo della Consulta non c’è traccia di questa vicenda che rischia di provocare un conflitto nel conflitto. A Palermo infatti non si sentono istituzionalmente in soggezione psicologica nè nei confronti di Napolitano nè tantomeno in quelli della Corte Costituzionale e dei loro membri.

Investiti della missione di smascherare la trattativa, forse tuttora in essere a loro modo di vedere, tra stato e mafia, e da quella di riscrivere la vera storia d’Italia, sono disposti a passare sopra tutto e tutti. Per questo è prevedibile che ne vedremo delle belle, specie se la Consulta alla fine, dovesse dare loro torto. Per questo già ricordano urbi et orbi che «la Consulta è chiamata a decidere non il merito, ma la legittimità e la conformità alle prerogative costituzionali del Capo dello stato», rispetto al conflitto sollevato contro la decisione dei magistrati palermitani di rivolgersi al Gip perchè egli decida se distruggere o meno le conversazioni di Napolitano giudicate “irrilevanti”.

L’ordinanza e la notifica del ricorso da parte del Quirinale, avvenuta lunedì, pone un’altra questione, che non sembra essere andata giù al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e agli altri pm del pool, Francesco Del Bene, Nino Di Matteo, Lia Sava e Roberto Tartaglia: il dimezzamento dei termini per la valutazione dei ricorsi, sceso da 50 a 25 giorni complessivi. Questo significa che i legali nominati ieri dalla Procura dovranno depositare le loro osservazioni entro il 4 o il 5 ottobre. Gli avvocati prescelti sono Alessandro Pace e Giovanni Serges. Nel collegio di difesa anche Mario Serio, ex membro del Csm. Intanto Ingroia ha chiesto una proroga all’Onu, prima di trasferirsi in Guatemala, e dovrebbe essere presente all’udienza preliminare dell’inchiesta sulla trattativa, fissata per il 29 ottobre davanti al Gup Piergiorgio Morosini.

C’è da scommettere che questa storia, comunque vada a finire, verrà riproposta in tutte le salse possibili nelle future campagne elettorali. In Italia oltre alla conclamata mancanza della certezza del diritto c’è il problema di chi non si rassegna mai alle decisioni e passa il resto della sua vita a dire “però avevo ragione io”.


di Dimitri Buffa