mercoledì 26 settembre 2012
Davvero i radicali coi soldi pubblici si sono comportati “come tutti gli altri”? Può passare alla storia quello che ha avuto il coraggio di dire l’onorevole Massimo D’Alema a La7 dalla Gruber, senza praticamente alcun contraddittorio, e cioè che i radicali del gruppo consiliare del Lazio hanno intascato i soldi come tutti gli altri e quindi devono fare autocritica?
In Italia può succedere anche questo, con la politica e l’informazione che ci ritroviamo. Eppure basta andarsi a leggere le sei domande e le sei risposte (nonchè i documenti di bilancio allegati) pubblicate sul sito dei Radicali del Lazio per capire come le cose non stiano affatto così. Innanzitutto le delibere che aumentavano i fondi ai singoli gruppi sono state decise dall’ufficio di presidenza pressochè all’unanimità con il piccolo particolare che in quell’organismo i consiglieri regionali della lista Bonino, Berardo e Rossodivita non hanno ingresso. Poi quando la delibera è andata in aula i due suddetti risultano gli unici ad avere votato contro, insieme al rappresentante di Sel. Infine neanche un soldo dei centomila euro a testa erogati ai consiglieri come gruppo è stato travasato sui loro conti personali, come dimostra il bilancio da loro consegnato allo stesso Rizzo e dal quale si evince che nei conti del gruppo è ancora giacente la notevole somma di euro 273 mila circa, «pronta ad essere restituita alla regione Lazio». Scrivono sul loro sito gli stessi consiglieri su citati che «le delibere dell’ufficio di presidenza nonostante i nostri emendamenti per la trasparenza non sono pubbliche e non ci sono state neanche fornite in relazione agli accessi agli atti che abbiamo inoltrato ai sensi dell’articolo 30, comma 3, dello Statuto della Regione».
In precedenza, ricordano sempre sul sito, i Radicali avevano proposto l’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati come primo atto della legislatura. Risposta? Dopo due anni, nonostante la preparazione di un testo base, la commissione non licenzia per l’aula il testo perché «c’è un problema sulla vostra norma che vuole la pubblicità sul bilancio dei gruppi e i rendiconti dei consiglieri». In pratica quelli che oggi sono stati cacciati dal tempio dalla stessa Polverini, con una mossa propagandistica a detta dei più, erano gli stessi che osteggiavano la trasparenza radicale. E non si trattava solo degli esponenti del Pdl, ma anche di quelli del Pd e dell’Italia dei valori. Solo il vendoliano nel consiglio ha tenuto posizioni analoghe a quelle di Berardo e Rossodivita. Resta da chiedersi a questo punto se la Polverini sapesse, fosse inconsapevole o facesse finta di non sapere.
E anche per questa domanda i radicali del gruppo consiliare del Lazio hanno una risposta puntuale: «La presidente Polverini è capo della maggioranza, e sa benissimo tutto. Uno dei maggiori gruppi presenti in Consiglio porta il suo nome: Lista Polverini, 13 consiglieri. In realtà queste cifre sono state verosimilmente contrattate nelle sessioni di bilancio proprio dalla maggioranza, la presidente Polverini infatti tramite l’assessore Cetica, per tenere buona la maggioranza e far passare tranquillamente le leggi finanziarie e di bilancio, sapeva che questo era il prezzo da pagare ai consiglieri della propria maggioranza».
di Dimitri Buffa