Regioni: spendono 90 mld in più del 2000

martedì 25 settembre 2012


E se il vero spreco di denaro pubblico fossero le regioni? In tempo di spending review, a finire nel mirino degli sprechi sono state soprattutto le spese pazze degli enti locali: dai conti in rosso dei comuni, spesso risanati dalle casse di stato, al proliferare delle province, delle quali una parte sempre più consistente della politica, trasversale agli schieramenti, ora chiede non solo un freno all’espansione, ma anche l’abolizione. Ma forse il vero pozzo senza fondo che inghiotte inesorabilmente vagonate di denaro pubblico non sono né i comuni spendaccioni né le province disegnate con il pennarello sulla carta geografica nazionale.

A sostenerlo è la Cgia di Mestre. Al di là delle considerazioni sull’accresciuta importanza istituzionale assunta da questi enti a partire dalla riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal governo di centrosinistra presieduto da Giuliano Amato, il dato economico che emerge dallo studio è impressionante: tra il 2000 e il 2010 le regioni italiane hanno aumentato le loro spese di ben 89 miliardi di euro. L’equivalente di quasi tre manovre “Salva-Italia”, costata circa 33 miliardi. Se dodici anni fa le regioni costavano circa 120 miliardi l’anno, oggi ne costano quasi 210. Ma cosa ne hanno fatto le regioni di tutto questo denaro pubblico? Oltre la metà (49,1 miliardi) è stata destinata alla sanità. Ma non solo. La crescita complessiva della spesa regionale è stata del 74,6%, a fronte di un aumento dell’inflazione che nel periodo preso in esame ha toccato il 23,9%. Soltanto nel 2010 (l’ultimo dato disponibile, riferito ai bilanci di previsione) le uscite complessive delle regioni hanno superato i 208,4 miliardi di euro.

Le regioni spendono di più perché contano di più: «Con la riforma del Titolo V – segnala il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi - l’Italia ha assunto un assetto istituzionale decentrato. In precedenza, i poteri delle regioni erano esplicitamente citati nella Costituzione, mentre lo Stato aveva la competenza su tutte le altre materie. La riforma del 2001 ha capovolto la situazione: lo Stato è titolare di alcune materie espressamente citate nella Costituzione, come la giustizia, la difesa, la politica estera, mentre alle regioni sono stati attribuiti i poteri su tutte le altre funzioni non esplicitamente riservate allo stato». 

È davvero tutta colpa delle regioni? Per Bortolussi non è così: «Pur riconoscendo che perdurano sprechi, sperperi e inefficienze che vanno assolutamente eliminati, nell’ultimo decennio l’aumento della spesa delle Regioni è imputabile al nuovo ruolo istituzionale conferitogli e dalle nuove competenze assunte. In primis la gestione e l’organizzazione della sanità, ma anche dell’industria e del trasporto pubblico locale. Vi è un’altra ragione che ha fatto impennare la spesa: sono i maggiori costi socio-sanitari che le regioni hanno dovuto farsi carico a seguito dell’invecchiamento della popolazione e per finanziare le misure a sostegno della popolazione straniera giunta nel nostro Paese». Non è un caso, sottolineano dalla Cgia,  la voce di spesa cresciuta di più sia stata proprio quella riferita all’assistenza sociale, con un +154,4%. 

A fare le spese della fumosità delle leggi e dei conflitti di attribuzione tra stato e regioni, però, sono ancora una volta i conti pubblici. Qualche esempio? La spesa pro capite media delle regioni si attestava nel 2010 poco sotto i 3.500 euro. Le regioni a statuto speciale spendono molto di più di quelle ordinarie: 5.737 euro contro 3.048 euro. La spesa più elevata tra le singole regioni si registra in Valle d’Aosta, con 13.139 euro. Seguono le province autonoma di Bolzano (9.544 euro) e Trento (8.860 euro). Le più parsimoniose, invece, sono Lombardia (2.202 euro), Puglia (2.342 euro), e Marche (2.583 euro). Al di sotto dei 3mila euro di spesa pro capite si trovano anche Piemonte (2.653 euro), Veneto (2.709) e Toscana (2.735 euro).

La voce più consistente di spesa, lo si è detto, risulta essere la sanità. Tranne in un caso: la Valle D’Aosta, che nel 2010 ha speso ben 380 milioni per l’amministrazione generale, ovvero in personale (escluso quello impiegato nella sanità e nella formazione), sicurezza e spese di funzionamento della macchina amministrativa, contro 280mila euro destinati alla sanità.


di Luca Pautasso