sabato 15 settembre 2012
Ma un’opera cinematografica blasfema può essere valutata dalla legge peggio di un omicidio? Da due giorni assistiamo a una grottesca “comedy of errors” su questa terribile vicenda dell’assalto, chiaramente premeditato in occasione dell’11 settembre (che se ce lo siamo dimenticati noi e gli americani, loro che lo hanno fatto invece se lo ricordano benissimo, ndr), alle ambasciate americane in Africa e Medio Oriente. Iniziata con il massacro dell’ambasciatore americano in Libia e di tre uomini dello staff diplomatico.
Protagonisti da una parte i vari presidenti dei nuovi governi islamisti della fratellanza mussulmana del Maghreb, come quel Morsi, l’egiziano che viene a mendicare soldi in Europa e che però ci racconta che “Maometto è la linea rossa da non superare”, e dall’altra i membri dell’amministrazione di Barack Hussein Obama alla Casa Bianca, dallo stesso presidente in carica alla Clinton. Che ancora prima di attaccare almeno a parole i protagonisti di queste sedizioni organizzate di hooligan dell’islam, opportunamente usati dai rispettivi governi in chiave geopolitica, si sono affrettati a chiedere scusa per conto di privati e sconosciuti cittadini americani che in quel di Hollywood, per motivi ascrivibili ai propri interessi privati legittimi, hanno deciso di finanziare e girare un film forse blasfemo su Maometto.
Un vero e proprio capovolgimento della logica ancora prima che dei valori da tutelare, cioè la vita e la libertà di espressione. A questo capovolgimento però partecipano da protagonisti, nel ruolo di potenziali vittime proprio coloro che , come si dice a Roma, “hanno armato ‘sto casino”. Cioè Obama e la Clinton. I quali dopo avere fomentato le rivolte arabe nel segno di una primavera laica, hanno poi preferito la scorciatoia di dirottarle in un inverno caratterizzato da tutti quei movimenti dell’islam geopolitico finanziati dal wahabismo saudita. Con una visione ancora più cinica di quella tenuta dall’amministrazione di Bush junior allorchè all’indomani dell’11 settembre permise ad alcuni membri dell’establishment di Riyad di squagliarsela alla chetichella dagli Usa proprio quando i sospetti di avere finanziato Bin Laden e gli attentati alle Twin towers portavano dritti su di loro.
Così nel mondo rovesciato in cui, secondo l’ultimo saggio di Robert Kaplan, “la geografia si prende la propria rivincita” su storia e filosofia messe insieme, come a dire che ciò che la natura ha creato in un modo rimane immutabile, teste vuote dei fanatici islamici comprese, questa religione percepita in maniera così aggressiva, l’islam, è persino più pericolosa di quella messa in scena in questo teatrino afro medio orientale da chi manovra i fanatici.
Una prova ulteriore? La menzogna prontamente ripresa da tutti i media, senza neanche degnarsi di verificare la notizia, secondo cui il film era stato diretto da un ebreo israelianoe finanziato da ricchi cittadini ebrei statunitensi. Neanche Goebbels avrebbe potuto fare meglio degli islamonazisti di questa disinformazione che trovano sponde nel grottesco poltically correct pressoché di tutti i media mondiali. In compenso, se uno si legge i blog dei giovani rivoluzionari arabi delle prime ore soprattutto, tunisini o egiziani, trova commenti molto più consapevoli: i giovani si sentono truffati da chi usa la loro stessa religione come arma contundente contro gli interessi occidentali.
Con il pretesto ieri di vignette su un giornale danese dalla scarsa diffusione e oggi di un trailer di tredici minuti e 51 secondi per un film che nella sua interezza sarà stato visto forse da cento persone in una piccola cittadina della California. Dal sentirsi truffati da chi strumentalizza la fede a sentirsi presi in giro dalla stessa religione il passo è breve. E forse noi occidentali dovremmo aiutarli a questi giovani arabi consapevoli dei blog. Altro che chiedere scusa per conto terzi come ha fatto Hillary Clinton, che sa benissimo che la sua carriera politica in America finirà qui, sia che Obama venga rieletto sia, a maggior ragione, che vinca Mitt Romney. Se vogliamo aiutare i giovani più intelligenti delle ex rivoluzioni arabe, dovremmo insegnare loro che la fede è una cosa seria solo per chi ci crede. Gli altri possono anche raccontarci barzellette o fare vignette film blasfemi. La vera, e non tanto sottile, «linea rossa» da non oltrepassare è quella dell’omicidio per futili scopi di fanatismo religioso, altro che la raffigurazione più o meno prosaica o rispettosa di questo o di quel Profeta.
Tutti hanno il paradossale diritto di fare satira su Maometto, Gesù, Budda, Krishna o Zoroastro senza che nessuno dei rispettivi seguaci si senta autorizzato a ucciderlo impunemente . D’altronde se i cattolici avessero dovuto reagire al film dei Monty Python, Brian of Nazareth, che già venticinque anni orsono prendeva in giro tutti gli episodi della vita di Gesù, come i musulani hanno reagito a Innocence of islam, noi oggi vivremmo in un’atmosfera di perenne guerra di religione contro gli anglicani di Sua Maestà Elisabetta seconda d’Inghilterra.
Il giorno che tutti gli arabi o buona parte di essi capiranno che con questa suscettibilità religiosa, tanto più sospetta in quanto inculcata da imam pazzoidi alla Qaradawy (spesso svillaneggiati anche in talk show trasmessi da al Jazeera dalla grande pensatrice e psicologa araba Wafa Sultan, che però usa l’accorgimento di vivere in America, in indimenticabili momenti immortalati su youtube), i primi a venire fregati sono stati loro e le loro speranze di libertà, allora saremo a cavallo. Certo però che il buon esempio dovremmo darlo proprio noi, tutti potenziali vittime di questo islam del fanatismo e di queste masse di hooligan della fede strumentalizzate per motivi principalmente economici. Se invece la reazione è quella avuta dalla Clinton, che si scusa per conto dei carneadi autori del trailer, stiamo veramente freschi.
di Dimitri Buffa