sabato 15 settembre 2012
Se Cipputi indossa il passamontagna. Chiedo: siamo già alla guerriglia urbana, in materia di diritto al lavoro? In caso contrario, come si spiega quell’intervista dell’operaio dell’Alcoa a volto coperto? Innanzitutto: si tratta di cosa perfettamente legale?
Ma non avevamo tutta una serie di contenziosi sull’ammissibilità del velo islamico, per quanto riguarda l’identificazione delle persone e la loro partecipazione a pubblici concorsi e alla frequenza scolastica? Tralasciando i “dettagli”, che cosa sta accadendo qui da noi, in Europa e in tutti gli altri paesi a capitalismo avanzato? Si sta, forse, avverando la profezia di Marx di un capitale che divora se stesso e i propri figli? Certo, le dislocazioni industriali - trasferimento degli impianti produttivi all’estero - contano, come pesa la pesante fuga di capitali di investimento, scoraggiati da una desolante carenza strutturale, che affligge i nostri pubblici poteri, con particolare riferimento alla burocrazia, al fisco (la tassazione reale sui redditi è la più alta del mondo, sfiorando il 55% su base reale) e alla sicurezza.
Ma veramente tutto questo dipende dalla rapacità dei mercati finanziari?
Qui ci sono parecchi conti che non tornano. Il primo è proprio quello relativo al “valore-lavoro” e riguarda, soprattutto, le generazioni successive agli anni del “boom economico”. Milioni di famiglie, 1960 a oggi, hanno continuato a credere che fosse meglio un figlio laureato, piuttosto che un bravo operaio o artigiano che fosse. La conseguenza ovvia è stata quella di un eccezionale, inutile sovradimensionamento del settore terziario e dei servizi, con particolare riferimento a quelli che fanno capo ai settori della formazione avanzata, come le università.
Così, nel tempo, sono stati sfornati centinaia di migliaia di laureati in discipline umanistiche, privi di competenze scientifiche e tecniche qualificate e perfetti candidati per la disoccupazione intellettuale. Da allora, sono venuti a mancare, pertanto, brevetti, ricerca, innovazione negli apparati produttivi medio-grandi, con progressiva rarefazione e pesante delocalizzazione degli insediamenti industriali, sia ad alta che bassa intensità di manodopera. Per di più, in ogni ambito delle manifatture artigianali, le “mani” hanno perduto la loro “intelligenza”, a seguito di un invecchiamento inarrestabile dei mastri artigiani, che reclutavano - in passato - un praticantato volenteroso e, spesso, dotato di notevole talento.
Malgrado il nostro fosse un paese d’arte, non si è capito quale conseguenza catastrofica potesse avere l’apertura indiscriminata alle paccottiglie da quattro soldi (tessile, oggettistica, beni di largo consumo di ogni genere), provenienti dall’Asia, dall’India e dall’Africa, che inondano come un fiume in piena i mercatini ambulanti e milioni di negozi nelle principali città italiane. E non c’è rimedio a questo disastro, se non su base generazionale (da qui a venti anni almeno!). I governi di ogni segno (imperdonabile, però, nel caso dei “tecnici”) hanno dimenticato che se tu, per un determinato bene merceologico, aggiungi un’imposta pari all’1% e, per tutta risposta, i consumi connessi calano dell’11%, vuol dire che, alla fine, hai prodotto un danno economico “sistemico” ai livelli occupazionali del settore primario interessato e dell’indotto, depauperando, peraltro, l’ammontare globale delle risorse fiscali. Sempre un bambino di terza elementare sa che, se l’obiettivo delle manovre economiche è quello di ridurre il rapporto “deficit/Pil”, la diminuzione di entrambi i fattori coinvolti può portare a una recessione senza fine. Esempio: se da 6/5 (= 1,2) si passa a 5/4 (1,25) la situazione peggiora e non migliora.
Morale della favola? Certo, bene il tutti a casa (i tecnici). Sì, ma per fare che cosa dopo? Invece di riempire migliaia di pagine di giornale sui chiacchiericci inutili dei leader di partito e delle seconde e terze file dei finiti candidati premier e aspiranti parlamentari, perché non si dice chiaro e tondo che, se i guardiani dei nostri conti stanno a Francoforte (Bce), Bruxelles (Esf, o Fondo salva stati) e Washington (Fmi), chi vince dovrà rispettare tutte le condizioni sottoscritte oggi da Monti? Il lavoro perduto non si riguadagna con politiche keynesiane di deficit spending, ma con la rivoluzione delle teste e delle mentalità (operazione che, come dicevo, è a carattere inter generazionale): i giovani debbono riscoprire l’etica del valore lavoro, e l’economia degli acquisti deve rivolgersi a beni durevoli nel tempo, di produzione artigianale autoctona. La riparazione deve prevalere sull’usa-e-getta, sia ai fini dell’eco sostenibilità dello sviluppo, sia del portafoglio. Così si produce occupazione.
di Maurizio Bonanni