venerdì 14 settembre 2012
Immaginate una città grande quanto Bologna, Firenze o addirittura Genova, i cui abitanti rischino da un giorno all’altro di trovarsi senza lavoro e senza più alcun reddito: è esattamente il rischio che sta correndo l’Italia in questo ultimo scorcio di 2012.
Nel secondo semestre di quest’anno, infatti, il nostro paese rischia di perdere 202.000 posti di lavoro. Oltre 200mila famiglie in mezzo a una strada. È quanto riporta l’ultima stima elaborata dalla Cgia di Mestre incrociando i dati occupazionali diffusi dall’Istat e quelli pubblicati dall’associazione Prometeia, specializzata nelle previsioni sull’economia italiana ed internazionale. E tra i posti di lavoro in via di estinzione, fa sapere la Cgia, ben 172.000 sono in forza tra le piccole e medie imprese.
«Premesso che negli ultimi quattro anni la variazione dei posti di lavoro riferiti alla seconda parte dell’anno è sempre stata negativa – dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – la stima riferita al 2012 è comunque peggiore solo al dato di consuntivo riferito al 2009. Purtroppo – prosegue Bortolussi – in queste ore non si sta consumando solo la drammatica situazione dei lavoratori dell’Alcoa o dei minatori del Carbosulcis, ma anche quella di decine e decine di migliaia di addetti delle pmi che rischiano di rimanere senza lavoro».
Ma il rischio di un tracollo delle piccole e medie imprese nazionali, fanno sapere dalla Cgia, è ancora più pericoloso della chiusura delle grandi aziende, e può concretamente di rivelarsi in un male senza possibilità di rimedio alcuno: «Le ristrutturazioni industriali avvenute negli anni ’70, ’80 e nei primi anni ’90 presentavano un denominatore comune. Chi veniva espulso dalle grandi imprese spesso rientrava nel mercato del lavoro perché assunto in una pmi» spiega infatti Giuseppe Bortolussi. «Oggi anche queste ultime sono in difficoltà e non ce la fanno più a creare nuovi posti di lavoro».
Che fare? Prima di tutto, il governo deve accelerare il più possibile nella risoluzione delle carenze endemiche che caratterizzano il sistema-Italia: fisco soffocante, difficoltà di accesso al credito, senza dimenticare i famigerati ritardi accumulati dallo stato nei pagamenti alle aziende che hanno lavorato per la pubblica amministrazione. Un debito che ha raggiunto quota 70miliardi di euro, 90 secondo le stime meno ottimistiche.
Ed è proprio all’esecutivo che la Cgia lancia il suo appello: «Per ridare slancio alle piccole realtà imprenditoriali che continuano ad essere l’asse portante della nostra economia diventa determinante recepire in tempi brevissimi la Direttiva europea contro il ritardo dei pagamenti, per garantire una certezza economica a chi, attualmente, viene pagato mediamente dopo 120/180 giorni dall’emissione della fattura. Bisogna trovare il modo per agevolarne l’accesso al credito, altrimenti l’assenza di liquidità rischia di buttarle fuori mercato. Infine, bisogna alleggerire il carico fiscale premiando anche i lavoratori dipendenti, altrimenti sarà estremamente difficile far ripartire i consumi interni».
Altrimenti gli scenari apocalittici che prospettano le previsioni di oggi diventeranno inesorabilmente la realtà di domani.
di Luca Pautasso