L'euro? Nemmeno Olli Rehn sa cosa sia

venerdì 7 settembre 2012


Euro o non euro? Questo è il problema. Specie quando nemmeno i diretti rappresentanti delle più importanti istituzioni europee dimostrano di saper conoscere a fondo i meccanismi che, almeno in teoria, dovrebbero regolare e governare la moneta unica. 

Qualche esempio? Secondo il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, l’ingresso di un paese nella moneta unica sarebbe un atto irreversibile. Il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, definisce invece tecnicamente possibile un’ipotesi di uscita dall’euro. Ma, come se non bastasse la confusione, ci si mette anche la Commissione europea, che parla nientepopodimenoche di irrevocabilità dell’euro, citando (a sproposito) l’articolo 140, paragrafo 3, del Tfue, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Peccato che questo famoso articolo faccia riferimento solamente alla «fissazione irrevocabile del tasso al quale l’euro subentra alla moneta di uno Stato membro». Il che significa semplicemente che per gli italiani un euro varrà sempre 1.936,27 lire, il tasso di cambio al quale il nostro paese ha fatto il suo ingresso nella moneta europea, non certo che sia vietato abbandonarla. Di fatto, del se e del come un paese utilizzatore della moneta unica possa uscire dall’euro per tornare al vecchio conio, non se ne parla da nessuna parte, in nessun trattato. Niente, nisba, nada.

«A questo punto, credo che l’Ue debba prendersi le sue responsabilità e ammettere che l’attuale crisi economica altro non è che lo specchio del fallimento della sua stessa storia, e dei suoi trattati, che fanno acqua da tutte le parti». A dirlo è l’eurodeputato della Lega Nord Claudio Morganti, che da mesi sta conducendo una vera e propria crociata tra le istituzioni del Vecchio Continente per colmare quello che appare a tutti gli effetti un vuoto normativo di portata mostruosa. E si è messo a fare come gli inviati de Le Iene, quelli che si appostano all’uscita di Montecitorio e Palazzo Madama per prendere in castagna i parlamentari meno preparati e più propensi agli strafalcioni istituzionali. Solo che questo non è un programma satirico da prima serata, ma il (triste) stato dell’arte su quanto la confusione regni sovrana quando si parla di euro.

Ma andiamo con ordine. Ad aprile Morganti interroga la Commissione Europea sul perché l’ipotesi di uscita dall’euro non venga contemplata dai trattati di adesione. «I trattati europei – spiega l’europarlamentare del Carroccio - prevedono che gli Stati membri possano uscire dall’Unione, ma non specificano nulla in merito alla possibilità che un paese Ue abbandoni la moneta unica». Passano i mesi, poi arriva finalmente la risposta. Delirante, raffazzonata, quasi stizzita:  «L’irrevocabilità dell’adesione alla zona euro è parte integrante del trattato e la Commissione, in qualità di custode dei trattati dell’Ue, intende rispettare pienamente questo principio». L’europarlamentare del Carroccio rimane di sasso, e decide di presentare un’altra interrogazione urgente alla Commissione, chiedendo «dove si faccia riferimento a tale irrevocabilità», e andando oltre: «Cosa accadrebbe – domanda - se uno dei paesi dell’Eurozona decidesse di uscire dall’Ue, secondo l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea? Sarebbe comunque costretto a mantenere l’euro, pur non facendo più parte dell’Unione?».

Stavolta gli risponde direttamente il vicepresidente della Commissione Europea, Olli Rehn: «L’irrevocabilità della partecipazione all’area dell’euro è parte integrante dei trattati ed è sancita dall’articolo 140, paragrafo 3, del Tfue. I trattati non indicano alcuna procedura di abbandono dell’euro. Viste queste premesse, l’adozione della moneta unica va intesa come una decisione irrevocabile. Nella sua veste di custode dei trattati, la Commissione rispetta appieno tale principio e non ipotizza pertanto scenari in cui è messa in dubbio l’adesione all’area dell’euro. Se uno Stato membro dell’area dell’euro decidesse di uscire dall’Unione europea in virtù delle disposizioni dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea - prosegue Rehn - porrebbe termine anche alla partecipazione alla moneta unica». Finalmente una risposta esaustiva e completa, verrebbe da pensare. E invece no, perché il vicepresidente della Commissione europea prende lucciole per lanterne. Il famoso articolo 140/3, repetita juvant, dice semplicemente che «...il Consiglio, deliberando all’unanimità degli Stati membri la cui moneta è l’euro e dello Stato membro in questione, su proposta della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, fissa irrevocabilmente il tasso al quale l’euro subentra alla moneta dello Stato membro in questione e prende le altre misure necessarie per l’introduzione dell’euro come moneta unica nello Stato membro interessato». Insomma, l’unica cosa irrevocabile, come ripetuto più volte, è il tasso di cambio tra l’euro e la moneta originaria dello stato aderente. Null’altro.

«Perlomeno Draghi - commenta uno sconsolatissimo, e anche un po’ infastidito Claudio Morganti - non si è appellato ad articoli dei trattati che non hanno alcuna attinenza con l’irreversibilità della moneta unica, dichiarando invece che “i trattati non dicono quello che uno Stato può o non può fare”, e che a lui “non interessa speculare su ciò che essi dicono o non dicono”».

«Rehn, al contrario - prosegue l’eurodeputato leghista- non solo non ha risposto alla mia domanda, ma ha formulato risposte vaghe ed imprecise. Dalle sue affermazioni - dice Morganti - si deduce che, se uno Stato membro decidesse di uscire dall’Eurozona, dovrebbe recedere necessariamente anche dall’Unione. Un meccanismo che testimonia l’oscurità dei trattati europei e la scarsa democraticità di questa zavorra che presto ci porterà tutti alla deriva».

La morale? Per capire davvero come funzioni l’uscita dall’euro occorre domandare a tutti fuorché a quelli che lo hanno inventato. Ed è esattamente ciò che ha fatto nel 2011 Simon Wolfson, barone di Aspley Guise, che dalla Gran Bretagna (ironia della sorte, fuori dall’Eurozona) ha messo in palio 250mila sterline per chi avesse scovato opzioni praticabili per mollare la moneta unica. Il risultato? Uscire si può, ma non conviene. Perché l’euro è, di fatto, una strada senza ritorno. Una specie di contratto capestro, nel quale decidere di chiamarsi fuori rischia seriamente di costare molto di più che non sorbirsi tutte le ricadute (economicamente devastanti) del restarci dentro.


di Luca Pautasso